Bussi, le ceneri della chimica

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IMG 0123Fine ‘800, a pochi anni dall’unità d’Italia, altro che terra di briganti e pastori, l’Abruzzo al centro di una delle più importanti operazioni industriali di quegli anni. Una Holding franco-svizzera tedesca decide di stabilire in Val Pescara, tra Piano d’Orta e Bussi, il più grande polo elettrochimico d’Europa, é il primo vero insediamento industriale frutto d’investimenti d’oltralpe nella storia della nostra Regione che da quel momento scriverà pagine importantissime nella storia dell’ingegneria elettrochimica mondiale convogliando in Val Pescara i più grandi ingegneri del tempo. Nel 1902 il primo impianto di cloro soda; nel 1907 il primo impianto per la produzione dell’alluminio; nel 1925 la produzione dell’ammoniaca attraverso un metodo innovativo. Poi negli anni ’60 l’inesorabile declino quando l’allora Montecatini non fu più in grado di reggere il passo con le multinazionali tedesche, francesi e statutintensi. Tutto questo raccontato con dovizia di particolari nel libro “Bussi e la grande chimica in Abruzzo. Un’ambizione fallita”. L’autore Marcello Benegiamo é giunto a conclusione di questo complesso lavoro attraverso anni di ricerca negli archivi storici della Edison di Corsico, dando vita ad un documento storico ritenuto dagli esperti come uno dei più importanti saggi sull’industria chimica mondiale e che abbatte anche qualche luogo comune, come quello secondo il quale a Bussi, durante la Prima Guerra Mondiale, si produceva la terribile Iprite, in realtà a Bussi c’era un centro studi e di sperimentazione per la produzione che poi avvenne in altre località. E’ purtroppo vero, invece, che, in qualità di presidio ausiliare d’interesse militare, da queste parti venissero prodotti gas tossici per la Seconda Guerra Mondiale. Oltre cento anni di storia dell’elettrochimico in questa vallata, alla luce anche degli scenari giudiziari che da qui ad una settimana saranno svelati dalla sentenza in Corte d’assise al processo sulla discarica dei veleni, vissuti come dal territorio e dalla popolazione: “Io credo che i bussesi erano ben coscienti della pericolosità – precisa Benegiamo – ma che per loro era più importante la necessità di un lavoro e da questo punto di vista ci sono testimonianze drammatiche a dimostrarlo. Il futuro? Io credo che quella sia un’epoca ormai irripetibile che si debba voltare pagina ed individuare nuove forme di sviluppo per questo territorio.” 

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