L’assassino ha lasciato l’impronta di una scarpa nel sangue di Renato Bellisari. Si trova sul pavimento della cucina, vicino alla porta la più evidente delle prove repertate dagli uomini del RIS sulla scena del crimine. Oltre un centinaio gli elementi raccolti nell’abitazione e nei suoi dintorni: ci vorranno intorno alle tre settimane per ottenere i referti, ma i primi riscontri sommari –a partire proprio dall’impronta- sono già stati messi a disposizione degli investigatori e del PM De Feis. Gli altri elementi di rilievo emersi dall’analisi approfondita della scena del crimine sono invece… quelli che mancano: non c’è il portafogli, non si trova l’arma del delitto (probabilmente un attizzatoio con il quale il pensionato è stato più volte colpito al capo) e –soprattutto- il mazzo di chiavi della vittima è stato portato via dall’omicida, che ha accuratamente chiuso l’abitazione dall’esterno, ma potrebbe averle conservate per qualche altro interessante motivo. La rapina dei contanti che pure Bellisari aveva nel portafogli non sembra però un movente del tutto convincente. Chi ha ucciso non ha rovistato nell’abitazione di Intermesoli, pur avendone tutto il tempo. Se interesse economico c’era, questo deve avere avuto una consistenza più profonda, considerata la rabbia con la quale l’assassino ha infierito sulla vittima, come se a muovere la mano fosse un fatto personale, più che di interesse. Il raptus, l’impronta lasciata e qualche altro particolare interessante sulla scena del crimine, potrebbero descrivere la personalità di un omicida occasionale e poco organizzato. Una carta a favore di chi indaga, in una partita che si gioca tra le vecchie e soprattutto tra le più recenti conoscenze di un uomo di 77anni benestante, ma non ricchissimo. Un uomo sereno per la sua terza età trascorsa nella quiete di Intermesoli con l’evasione di qualche nuova amicizia fuori dal paese.
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