Gentile Direttore,
nel porgerle i miei migliori riguardi, son qui a comunicarle la mia ferma intenzione di non tornare a produrre reddito fintanto che l’Italia non sarà liberata dagli assunti a vita nel pubblico impiego, finché noi cittadini, preparati al ruolo e desiderosi di servire, non potremo accedere a tempo determinato ai pubblici incarichi.
Non è ammissibile che a rappresentare lo Stato, a svolgere le sue funzioni, siano sempre gli stessi tizi. Questo è presupposto per ogni tipo di anomalia ed esclude noi cittadini, ci riduce a meri sudditi, maltrattati ospiti in casa nostra. Non è tollerabile che questa gente trasformi la Res Publica in una proprietà privata di accesso ad altri. Lo stesso nostro impianto legale vuole che una comproprietà sia condivisa. Costoro sono giunti fino ai nostri giorni solo perché l’intera cultura, educazione, giuridica e Stato sono eternamente nelle loro mani.
Non tornerò dunque a produrre un reddito finché la nostra Res Publica rimarrà monopolizzata, prigioniera. Questa casta di esseri superiori, cui è concesso fare quel che vuole del popolo italiano, può pure prendermi quel poco che ho. Ma mai più produrrò un reddito per alimentare questo sistema. Piuttosto mi lascio morire di fame.
Essendo questione di vita o di morte, sappia che sosterrò e voterò CHIUNQUE dichiari di volerli cacciare via tutti. Di seguito fornisco sostegno storico, logico e legale per farlo in men che non si dica. Al contrario mi opporrò a qualsiasi forza politica che non s’impegnerà a sradicare questo vergognoso uso anti-democratico.
Cordiali saluti,
Danilo D’Antonio
Rocca S. M. (TE)
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