Sentenza Tuccia: “Non violentiamole due volte”

Carabinieri

casotucciaE’ stata la presenza del centro antiviolenza femminile dell’Associazione biblioteca delle donne melusine dell’Aquila a fare la differenza nel processo che ha visto la condanna definitiva a 7 anni e 8 mesi nel terzo grado di giudizio dell’ex militare Francesco Tuccia, accusato di avere stuprato una studentessa universitaria lasciandola in fin di vita nel parcheggio di una discoteca a Pizzoli, nel febbraio del 2012. A dirlo è l’avvocata Simona Giannangeli, parte civile nel processo insieme al centro antiviolenza. “La difesa ha sempre utilizzato l’elemento del consenso della ragazza stuprata per affermare che il reato non fosse stato consumato”, ha detto la Giannangeli. Secondo un modus operandi tipico dell’accusa in processi per stupro. Per l’avvocata aquilana “è stata riconosciuta una pena significativa e importante, che costituirà un precedente in Italia, grazie alla presenza fondamentale del Centro antiviolenza nel processo”, riconoscendo senza ombra di dubbio la colpevolezza del responsabile dello stupro. “E’ la dimostrazione che ha retto l’impianto accusatorio”, ha aggiunto, “una delle poche sentenze che in Italia restituisce un senso di giustizia alle donne che subiscono violenza”. La presenza del Centro antiviolenza ha permesso che si ostacolasse, in sostanza, la modalità che la difesa ha sempre adottato nei processi di stupro, modalità che tende “a demolire la vita privata della donna, mettendo sotto accusa la sua moralità, il comportamento, le frequentazioni, cercando di annientare e denigrare la figura della donna in quanto persona offesa”, adducendo come elementi a discolpa dell’autore della violenza il “consenso” all’atto o all’approccio sessuale. “E’ come se sulla vittima venisse effettuato un nuovo stupro”, ha detto l’avvocata del Centro antiviolenza femminile. Nel 2014 sono morte 154 donne per mano di uomini, nella maggior parte dei casi mariti, fidanzati ed ex fidanzati.

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