Torre de’ Passeri: gli studenti nei luoghi della shoah

monumento auschwitzGrazie ad un’iniziativa del Comune di Torre de’ Passeri alcuni studenti delle scuole medie e superiori hanno partecipato, nei giorni scorsi, ad un viaggio formativo nei luoghi della shoah. Riceviamo e pubblichiamo le riflessioji di una studentessa del Liceo Scientifico, Francesca Renzella dal titolo, “Il silenzio è assordante”.
Il bosco di betulle, laggiù, oltre il monumento alle vittime di Auschwitz Birkenau, progettato dallo Studio Valle vincitore di un concorso internazionale e realizzato tra il 1958 ed il 1959 in associazione con alcuni dei più prestigiosi scultori dell’epoca tra i quali i fratelli pescaresi Pietro ed Andrea Cascella, è il testimone vivente della malvagità del luogo. Se ogni albero potesse parlare, sputerebbe parole di ghiaccio nei confronti della più atroce delle realtà: uomo che uccide, distrugge, strappa l’anima all’uomo. Regna il silenzio nel campo di sterminio di Birkenau. Un silenzio assordante, spezzato dai passi dei visitatori che percorrono le stesse vie degli internati con un’unica differenza: poterle ripercorrerle una seconda volta per tornare nelle proprie case una volta finita la visita. Gli internati non avevano questa possibilità, loro percorrevano quelle strade per la prima ed ultima volta nella loro vita, destinati a terribili, atroci e diverse morti.
La domanda mi sorge spontanea nella sua banalità: perché tutto questo? La risposta potrebbe darla solo la follia di quei piccoli uomini. Piccoli uomini perché non meriterebbero neanche l’appellativo “uomo”, neanche “bestia”, ma meriterebbero loro di essere ritenuti oggetti o numeri. L’innocenza, l’appartenenza ad una diversa religione, il seguire un’altra coscienza politica, una diversa etnia o tendenza, l’aspettare un figlio o non avere la forza fisica per lavorare a causa dell’età non meritano di essere ritenuti un oggetto e la follia di uomini psicologicamente malati. E alla vista dei capelli che venivano rasati agli internati, degli occhiali, dei vestiti, delle pentole, degli oggetti di prima necessità, degli utensili, delle coperte per la preghiera, delle scarpe, le infinite paia di scarpe, la mia domanda si accende con rabbia e voglia di spiegazioni. Le scarpe: camminare scomodamente sul terreno sabbioso e ciottoloso dei campi di sterminio era un sacrificio ma non potendo camminare, non potevano andare a lavorare e senza lavoro la morte era ancora più vicina di quanto già non lo fosse. Nei campi, ogni singola e piccola briciola di pane valeva più di un universo di lingotti d’oro perché l’oro non si può mangiare, il pane sì. “Il lavoro rende liberi”, dunque? No, il lavoro ritardava la morte e la sofferenza causata dalla fame, dalla sete e dalle condizioni di salute pessime, portava alla disperazione. Primo Levi, sopravvissuto di Auschwitz, ci ammonisce: “Può questo definirsi un uomo?” Può, dunque, definirsi un uomo un essere vivente che compie atrocità terribili verso un altro essere vivente? Può definirsi un uomo un essere vivente che sopporta il male e la cattiveria inflitti da un altro essere vivente? Pensando a tutto ciò che accadde in quei luoghi il sorriso è una cosa inesistente. Pietro Cascella racconta: “Durante la costruzione del monumento a Birkenau, gli scalpellini polacchi non sorridevano mai”. Dopo anni e anni, quei luoghi conservano ancora l’aria che si respirava allora: un’aria piena di dolore, di sofferenza e di cattiveria. Portare avanti il ricordo di simili follie è un obbligo morale e non c’è un’età per poter visitare “il più grande cimitero del mondo”. Ho sentito freddo ma una sensazione diversa da quella che ho provato a Berlino, nel Giardino dell’Esilio all’interno del Museo Ebraico di Daniel Libeskind. Pensavo che quello fosse il dolore più profondo che potessi provare.
Mi sbagliavo. La polvere maleodorante intrisa di morte di Birkenau è la sofferenza peggiore per un animo innocente.

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