video » Sgarbi a Pescara… “Nel Nome del Figlio”

vittoriosgarbi8Sulla scorta del magistrale saggio “Nel nome del figlio”, Vittorio Sgarbi questa volta guida il lettore alla scoperta della ricchissima galleria di ritratti del Dio che si fece uomo nel Cristo.
Tempo ed eterno, visibilità e mistero, contingente e assoluto s’intrecciano in questa figura che da venti secoli domina la storia della cultura occidentale. Forse è proprio questo contrappunto ciò che più ha affascinato e sedotto l’arte. Artisti e scultori, infatti, hanno ricreato tante volte l’immagine del Figlio di Dio a seconda di gusti, mode, sensibilità delle epoche in cui hanno vissuto. Dai sarcofagi paleocristiani all’arte bizantina, da Giotto a Michelangelo fino agli impressionisti è assai difficile se non improbabile trovare un decennio senza traccia pittorico-scultorea di Cristo.
“Nel nome del figlio. Natività, fughe, passioni nell’arte”, presentato ieri dal critico di fama all’Aurum di Pescara, esplora magistralmente questa infinita galleria di ritratti del Dio unico. Partendo proprio dal Figlio. «Perché», spiega il critico d’arte, «il cristianesimo è la religione del figlio. Dio Padre è immobile, fa nascere il mondo, ma resta lontano. Il Figlio, invece, è dentro il mondo. La pittura, prima della dimensione divina, dà volto all’umanità del Cristo. Intinge il pennello in questa autentica rivoluzione realizzata in nome del Figlio: il Padre ha creato il mondo, il Figlio lo ha salvato».
Qual è il suo Christus Patiens preferito?Gli abbiamo chiesto e lui: «L’Ecce Homo di Antonello da Messina, perché è un Cristo più uomo che Dio, è il Cristo che dubita della sua stessa divinità come si può vedere nella smorfia quasi di disappunto delle labbra. Qui il Nazareno non è solo tormentato e torturato come quello del film The Passion di Mel Gibson ma, in virtù della violenza che subisce, si interroga, dubita di essere Dio, dubita di suo Padre. Antonello è l’unico pittore che riesce a rappresentare così efficacemente questo dramma del dubbio. Non c’è in questo Cristo la certezza che il fatto di essere trafitto e coronato di spine preluda alla gloria della Risurrezione. Antonello incalza e valorizza la natura umana di Gesù rappresentandolo come un uomo che deve fare i conti con suo padre».E quello Triumphans? Abbiamo concluso l’intervista: «Il Cristo Pantocratore di Cefalù perché allarga le braccia dando il senso di poter accogliere tutti. Qui il Cristo è tornato ad essere Padre. Mentre il padre non è mai figlio ma è sempre e solo Dio, qui il Figlio fa anche il Padre, sembra quasi sostituirlo. Ha questa duplicità straordinaria».


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