L’Aquila: inchiesta Dirty job, processo rinviato al 25 febbraio

Slitta al 25 febbraio la prosecuzione della discussione del processo Dirty job, iniziata stamane in corte d’appello dopo tre rinvii. La speranza del legale dei fratelli Di Tella, condannati in primo grado, è che vengano scagionati anche dal reato di estorsione

Le indagini della Procura fecero emergere un presunto sistema di sfruttamento di manodopera proveniente per lo più dal casertano e dal paese del capo clan Michele Zagaria.

Secondo l’accusa gli operai venivano condotti all’Aquila per lavorare nei cantieri della ricostruzione a patto però di riconsegnare metà dello stipendio.
Lo sfruttamento dei lavoratori secondo l’accusa era messo in atto con la seguente modalità: gli operai venivano minacciati di licenziamento qualora non avessero detto sì alla restituzione di metà stipendio subito dopo l’accreditamento e sempre secondo l’accusa venivano addirittura accompagnati a prelevare il contante presso gli sportelli bancomat.

In primo grado furono condannati i fratelli Di Tella e il padre, nel frattempo morto, a sette anni e quattro mesi di reclusione.

Erano una decina i condomini appaltati a persone vicine ai casalesi per circa 20 milioni di euro dei lavori, secondo le ricostruzioni dei magistrati.

In sede di udienza preliminare invece alcuni costruttori aquilani finirono ai domiciliari e patteggiarono la pena. L’episodio all’Aquila fece molto clamore.

Negli anni la vicenda si è ridimensionate e la scelta del patteggiamento, come spiegò uno dei legali Stefano Rossi, servì a tentare di uscire dall’interdittiva antimafia.

L’avvocato aquilano Massimo Carosi difende i fratelli Di Tella: più di una volta ha ricordato come i suoi assistiti siano stati assolti sia dal reato di sfruttamento degli operai che da altri reati fiscali e come sia stata esclusa l’aggravante di aver agevolato il clan della camorra.

Ora la speranza del legale aquilano è che la Corte accolga il loro appello e scagioni i fratelli di Tella anche da altre residue imputazioni.

Anna Di Giorgio: