Il Cda del Marrucino di Chieti medita le dimissioni in blocco. Già una volta Di Primio le ha respinte. Il Teatro rischia di non avere futuro per il taglio dei contributi, soprattutto regionali
E’ in alto, altissimo, mare l’allestimento della stagione del Teatro Marrucino di Chieti, i cui costi si aggirano tradizionalmente attorno al milione di euro. Dopo la “cura dimagrante” imposta dal Comune, che ha tagliato i contributi da 430 a 330mila euro, il colpo di grazia per l’istituzione culturale più importante della città è giunto dalla Regione, il cui contributo -in un’alea di incertezza- dovrebbe ammontare a circa 40mila euro. C’è poi il capitolo del finanziamento ministeriale per l’Opera, che copre parzialmente i costi, ma solo subordinatamente alla concessione dei fondi di Comune e Regione.
Il caso è stato sollevato dal consigliere regionale e presidente della Commissione di vigilanza Mauro Febbo, il quale ha ricordato che ad oggi nessun finanziamento è stato assegnato alle istituzioni culturali che chiaramente o hanno già fatto o devono fare la propria programmazione, ed ha ricordato che l’attuale situazione di stallo e ritardo è stata causata anche delle vicende legali relative alla rimozione “forzata” del Capo Dipartimento competente, dott. Giancarlo Zappacosta, reintegrato a seguito del ricorso al giudice del lavoro che ha dato torto a D’Alfonso.
A proposito del Marrucino, Teatro lirico e di tradizione (unico in Abruzzo e nel centro Italia), Febbo ha confermato che “non può avviare la produzione delle Opere liriche e non solo, non avendo nessuna comunicazione d‘impegno dell’amministrazione regionale per l’anno 2016 (sic!!!). Peraltro bisognerebbe cominciare a lavorare per organizzare l’evento del bicentenario che cade nel 2018 con un crescendo di manifestazioni ed eventi all’altezza della stessa Istituzione che merita, programmazione ed attenzione che non si realizzano in qualche settimana o mese”.
Saranno dunque decisivi i prossimi giorni per il futuro del Cda, con il presidente Cristiano Sicari e i consiglieri Paolo De Cesare e Annalisa Di Matteo, seriamente intenzionati a rimettere il mandato