Enorme operazione “Isola Felice” contro la ‘Ndrangheta in Abruzzo e altre 4 regioni. La Dda dell’Aquila esegue 25 arresti. Circa 150 gli indagati. Nel mirino gli affari sporchi del clan Ferrazzo del crotonese
In azione dall’alba oltre 200 carabinieri per dare esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale dell’Aquila, sede della Direzione Distrettuale Antimafia a carico di 25 persone (delle quali 14 in carcere) per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti e di armi, estorsione, riciclaggio e altro. Sono 149 gli indagati. I militari stanno procedendo anche al sequestro di immobili e di attività commerciali e a perquisizioni in Abruzzo, Molise, Calabria, Sicilia, Lazio e Marche. In particolare, le misure di custodia cautelare riguardano 20 arresti e cinque obblighi di dimora. Ci sarebbero alcuni destinatari dell’ordinanza ancora irreperibili perché all’estero. Nelle perquisizioni svolte sono stati sequestrati anche soldi in contanti. Un ruolo importante nelle investigazioni è stato svolto dal Comando provinciale dei Carabinieri di Pescara.
L’operazione “Isola Felice” mette alla luce l’ormai preoccupante infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto di una regione come l’Abruzzo. Coinvolto il clan crotonese Ferrazzo di Mesoraca. L’organizzazione criminale, insediatasi in Abruzzo e Molise, ha esteso le sue attività criminale anche in altre regioni e all’estero.econdo quanto disposto dal gip dell’Aquila Giuseppe Romano Gargarella, su richiesta della procura distrettuale antimafia, i 14 arrestati in carcere nell’ambito dell’operazione ‘Isola felice’ che ha sgominato una cosca ‘ndranghetista tra Abruzzo e Molise sono Felice Ferrazzo, Eugenio Ferrazzo, Maria Grazia Catizzone, Emilio Rossi, Mirko Marchese, Fabio Marchese, Mirko De Notaris, Rocco Perrello, Alina Elena Anton, Antonio Popolo, Carmine Farese, Francesco Scicchitano, Giuseppe Di Donato e Alessandro Contin. Gli arresti domiciliari sono stati concessi a sei persone: Antonio Nicola Morganella, Antonino Granata, Vincenzo Macera, Domingos Junior Catanzaro, Pasquale Gagliano e Olesia Molcanova. Ci sono, infine, cinque misure di obbligo di dimora nel comune di residenza e presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria per Tiziana Mila, Francesca Zullo, Costantino Petrucci, Espinoza Josè Maria Solarte e Orlando Iannarone. Gli indagati a piede libero sono in tutto 149. Secondo quanto appreso da fonti investigative, irreperibili nel corso dell’operazione di oggi sono risultati la Anton tra i destinatari di custodia cautelare in carcere, la Zullo e Solarte tra quelli colpiti da obbligo di dimora. Tra le attività sequestrate, a San Salvo (Chieti) Bike& Car, a Termoli (Campobasso) Joker’s Club, Slot Centro Studi, Accademia Biliardi La Garuffa, Nuovo Caffè-Deja vu e Molise Casa Costruzioni. A Termoli, infine, Pizzeria Napul’è ‘o panzerott e Bar Planet Caffè. Il gip ha nominato amministratore giudiziario Francesco Pietrocola. A Civitanova Marche è finito in manette un 38enne, E. R., genero di un presunto capo clan calabrese. L’uomo è stato fermato la notte scorsa dai carabinieri.
LE NUOVE RADICI IN ABRUZZO – Il clan Ferrazzo “voleva rinascere in Abruzzo, arrivando in una ‘isola felice’ per ricostruire le proprie abitudini criminali usando lo spaccio di droga per finanziare altre attività lecite e illecite”. È quanto emerge dall’indagine. I reati contestati sono associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti e di armi, estorsione, riciclaggio; tra le misure disposte dal gip dell’Aquila ci sono anche sei arresti domiciliari e cinque obblighi di dimora. Due di questi ultimi sono risultati irreperibili così come un destinatario della custodia cautelare in carcere.
“È stata un’indagine complessa – ha spiegato il sostituto procuratore Antimafia dell’Aquila, Antonietta Picardi, spiegando i dettagli dell’operazione nel corso di un incontro con la stampa alla presenza del procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti – soprattutto perché cominciata in Abruzzo, conosciuto come snodo di sostanze stupefacenti, con un arresto di una persona con un grosso quantitativo. Si è risaliti a una filiera importante che aveva contatti con Sudamerica, Olanda, e tre collaboratori di giustizia ci hanno aiutato anche a comprendere le intercettazioni ambientali e telematiche”. “Il clan Ferrazzo aveva interessi particolari – ha aggiunto – il traffico di droga serviva al sostentamento, all’acquisto di armi e al reimpiego del denaro in attività tendenzialmente lecite già esistenti oppure nuove attraverso prestanomi”. Le armi venivano acquistate “non solo in Italia dalla zona di Foggia, in ambienti malavitosi già conosciuta dalla Dna, ma anche dalla Svizzera, appena fabbricate e portate in Italia senza essere dimenticate”. Il magistrato ha evidenziato anche “legami con mafia, camorra e sacra corona unita. C’erano capi, luogotenenti, singoli responsabili delle zone – ha illustrato – ognuno con compito particolare, armi, territorio, spaccio o reimpiego”. Per la Picardi è stato “importante anche il rapporto con alcuni imprenditori edili che erano a disposizione del clan per attività illecite, uno ha partecipato a un’estorsione al servizio dell’associazione. Inoltre – ha sottolineato – mettevano a disposizione locali per nascondere armi, droga e altro. Uno in Abruzzo e uno in Molise con arsenali e raffinerie vere e proprie per i quali si è già proceduto in passato”.
Nel corso della conferenza stampa è stata citata la memoria del carabiniere Giampaolo Pace, originario dell’Aquilano e in servizio a Pescara, scomparso nel recente terremoto del Centro Italia.
ROBERTI: “INVESTIGAZIONI CON METODO ANTI-INFILTRAZIONI RICOSTRUZIONE – Oltre a riciclare nelle attività commerciali gli esponenti del clan ‘ndranghetistico dei Ferrazzo svolgevano anche imprenditoria nel settore edilizio, con la Molise Costruzioni Srl, società sequestrata con nomina di amministratore giudiziario.
Non risulta che sia intervenuta ad alcun titolo nella ricostruzione post-terremoto dell’Aquila, ma dimostra come queste società siano molto facilmente permeabili con le iniezioni di capitale mafioso”. Così il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, parlando dei dettagli dell’operazione ‘Isola felice’. “È dunque anche in riferimento alla ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto del 24 agosto – ha sottolineato – bisogna monitorare queste società per evitare che si infiltrino”. Roberti ha ricordato che “esiste un modello L’Aquila anche in questo, un modello Crasi (Centro ricerca e analisi per lo sviluppo investigativo, ndr). Lo presentammo alcuni mesi fa qui con l’allora procuratore Fausto Cardella”. “Incrociando i dati raccolti dalle varie fonti della ricostruzione – ha ricordato il magistrato – il Crasi consente di verificare possibili collegamenti tra soggetti criminali che aspirano a entrare nella ricostruzione e le infiltrazioni”. Il procuratore nazionale ha evidenziato come tale modello investigativo consenta “di prevenire in un momento critico, quello degli affidamenti diretti dei lavori di somma urgenza, è il momento più pericoloso: lavori per smaltire e rimuovere macerie, installare puntellamenti, portare intermediazione e manodopera, come dimostrato dall’indagine sul clan dei casalesi che si erano infiltrati all’Aquila”, con l’operazione ‘Dirty job’ sempre dalla Dda del capoluogo. “Bisogna apporre la massima attenzione – ha concluso – nel vedere chi si affidano questi lavori. Il modello Crasi è a disposizione per le procure di Roma e Ancona in relazione a quelle di Rieti e Ascoli Piceno, potrà essere estremamente utile”.
Il RUOLO DELL’ARMA DEI CARABINIERI :
“È sempre più importante il nostro sistema capillare e reticolato sul territorio, presidiato da un’organizzazione ramificata che riesce a percepire i segnali, mette in circolazione le informazioni e gli elementi per bloccare questo tipo di dinamiche”. Così comandante della Legione Abruzzo dei carabinieri, il generale Michele Sirimarco, nel corso di un incontro con la stampa alla presenza del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha voluto evidenziare il ruolo dell’arma nell’ambito dell’operazione ‘Isola felice’ che ha sgominato un rinato clan ndranghetistico tra Abruzzo e Molise. Il comandante provinciale dei carabinieri di Pescara, il colonnello Paolo Piccinelli, ha spiegato il nome dell’operazione con il fatto che il principale indagato, Felice Ferrazzo, “si era stabilito in quella riteneva fosse un’isola felice, e giustamente perché lo è. Pensava di ricostruire qui le sue abitudini – ha precisato – Il 75% del Pil della ndrangheta è costituito dal traffico di droga e voleva riallacciare rapporti con la casa madre e con altre consorterie criminali”. Il comandante del nucleo investigativo, il maggiore Massimiliano Di Pietro, ha rimarcato anche “il ruolo importante delle donne del clan. I trasporti di droga avvenivano non solo sui mezzi, ma anche sulla persona, con ovuli ingeriti o inseriti in un cilindro metallico”. “La cocaina spesso veniva importata in forma liquida, quindi entravano in gioco esperti che la riportavano allo stato di polvere – ha aggiunto – La droga poi veniva piazzata sul mercato attraverso una rete di italiani e stranieri che hanno invaso Pescara, Montesilvano, Vasto, San Salvo e la costa molisana”. Secondo Di Pietro, “l’associazione era in grado di attuare forme di autoriciclaggio nel commercio di autoveicoli o attività di ristorazione in genere dove venivano reinvestiti i proventi. I pagamenti – ha concluso – avvenivano attraverso i circuiti money transfer che abbiamo monitorato”.
ARMI NELL’AUTO A TERMOLI – L’operazione è l’epilogo di una inchiesta partita a Campobasso su iniziativa della locale Procura. Tutto partì dal ritrovamento di un arsenale di armi, nascoste in una macchina di proprietà di Eugenio Ferrazzo, pregiudicato 38enne di Mesoraca (Crotone). L’auto fu trovata in un garage di Termoli nel luglio del 2011 e proprio in seguito a questa vicenda Ferrazzo fu condannato dal tribunale di Larino a 12 anni di carcere (pena ridotta a 6 in appello0). Ad affittare il locale da una donna del posto era stato il collaboratore di giustizia Felice Ferrazzo, padre di Eugenio. Nell’ambito dell’indagine svolta a Campobasso, condotta personalmente dal procuratore Armando D’Alterio insieme al sostituto Rossana Venditti, grazie alle intercettazioni, sono stati approfonditi i collegamenti di Eugenio Ferrazzo con la malavita abruzzese e i contatti di suo padre con gli stessi ambienti in Calabria. A partire dal 2011 i magistrati di Campobasso hanno dunque avviato una collaborazione investigativa con la Procura dell’Aquila fornendo, durante incontri svolti alla Procura nazionale Antimafia, una serie di intercettazioni ambientali effettuate nel carcere di Campobasso e riguardanti Eugenio Ferrazzo. Nelle conversazioni c’erano “rilevantissimi elementi di prova” in merito a reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e che spostavano il fulcro dell’indagine in Abruzzo (sia pure con notevoli ricadute in Molise). Il procedimento è stato dunque incardinato dai magistrati dell’Aquila ed è poi sfociato nell’imponente blitz di questa mattina.
LA RAFFINERIA A SAN SALVO – Sempre nel 2011 una inchiesta dei carabinieri e della DDA dell’Aquila a San Salvo ha portato alla scoperta di una raffineria di droga, gestita da Eugenio Ferrazzo detto “Roberto il calabrese”. In carcere finì anche l’imprenditore edile calabrese Rocco Perrello, 33 anni residente a Vasto, nel forno di casa pistole e proiettili 7,65 e 9 con matricole cancellate.
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