Omicidio Bucco: Varone “vittima conosceva l’aggressore”

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Omicidio Bucco: Varone “vittima conosceva l’aggressore”. I passaggi salienti della richiesta di archiviazione presentata dal pm della Procura della Repubblica di Pescara.

Il Pubblico Ministero della Procura di Pescara Gennaro Varone, in merito al caso dell’omicidio di Nicola Bucco, l’operaio di 53 anni ucciso nella sua abitazione al piano terra di via Leopardi a Pescara scrive che “Le modalità dell’azione inducono a pensare che la vittima conoscesse l’aggressore e che non ne abbia percepito le intenzioni aggressive, se non dopo essere stato mortalmente colpito: al momento della scoperta del cadavere da parte di Massacese Vittorio, il fornello era acceso e la pentola sul fuoco, mentre un getto d’acqua scorreva dal rubinetto della cucina. Bucco è stato trovato senza vita alle 17.17 del 14 novembre 2012 – scrive ancora il pm Varone -. Le cause della morte, verosimilmente risalente ad un orario collocabile tra le 14.30 e le 15.30, sono da rinvenirsi nelle ferite inflitte con un coltello non trovato. Il dottor Varone nel ripercorre le tappe principali delle indagini scrive che  “Sono state identificate le persone riprese dalle telecamere pubbliche sulla riviera, in coincidenza col passaggio di Nicola Bucco che rientra a casa ed è stato verificato che nessuna di esse abbia avuto alcuna relazione con l’omicidio. La riviera, tuttavia, non è l’unica via di accesso all’abitazione. Diverse le piste scandagliate, a partire da quella della droga, che ha consentito di accertate che “Bucco era in contatto con il trafficante D.F.”: tale ipotesi investigativa, però, “non ha consentito di ottenere risultati convincenti”. Al vaglio anche le abituali frequentazioni della vittima. “Sono stati eseguiti numerosi accertamenti tecnici – spiega Varone nella richiesta di archiviazione – per verificare se tracce biologiche di Bucco si fossero depositate su armi o oggetti in possesso dei sospettati, tra i quali il primo indagato Giuseppe Del Rosario, senza alcun esito conducente ad una ipotesi accusatoria”. Nella sua ricostruzione il pm, in particolare, pone l’accento su una serie di elementi emersi a carico di uno degli indagati, Emilio Massacese, fratello di Vittorio, il titolare del bar del porto che aiutava il suo coinquilino Nicola Bucco a pagare l’affitto di casa e che il pomeriggio del 14 novembre rinvenne il cadavere. “Emilio Massacese ha fornito, per il giorno 14 novembre, una ricostruzione dei suoi spostamenti del tutto incompatibile con le risultanze dei tabulati telefonici e dei documenti acquisiti – si legge nelle motivazioni – Il predetto ha affermato che si sarebbe recato presso lo studio del commercialista, come da delega del fratello Vittorio, quando tale circostanza è stata esclusa dalla verifica compiuta dalla squadra mobile”. Il pm afferma che, “certamente, il 14 novembre del 2012 accadde qualcosa che interruppe la relazione di convivenza tra Vittorio Massacese e Bucco”, come dimostrerebbe l’sms relativo “ad un sofferto litigio” tra i due, “da riportarsi probabilmente alle aspettative omosessuali del Vittorio, sulle quali il Bucco, del tutto verosimilimente, faceva leva per spillargli denaro”. Il Pm Varone mette in rilievo che “in quel periodo cadeva impellente scadenza di pagamento dei contributi Inps ed è possibile che Vittorio Massacese, ricevuto il denaro dal fratello Emilio, l’abbia consegnato a Bucco, anziché usarlo per fare fronte al debito”. In particolare il pm mette in evidenza che Vittorio Massacese, come risultato dai tabulati telefonici, “si è improvvisamente recato a casa di Bucco per scoprirne il decesso (quasi presagisse fosse accaduto qualcosa) all’esito di una serie di chiamate non risposte rivolte al Bucco medesimo (già morto, in quel momento) e ad Emilio Massacese”. Per Varone, “ciò fa presumere che Vittorio Massacese fosse stato messo a parte di intenzioni lesive e che questo abbia fatto aumentare la sua preoccupazione. Un atteggiamento psicologico – si legge ancora nelle motivazioni – che appare aderente allo sfogo con cui Vittorio si lascia andare in presenza di personale della squadra mobile, quando a poche ore dall’omicidio afferma che avrebbe potuto fare di più”. Vengono definiti “strani”, sia “il tentativo di Emilio Massacese di riportare una chiamata ricevuta poche ore dopo l’omicidio, ad un orario di oltre due ore antecedente a quello effettivo”, che la mancata risposta al telefono al fratello Vittorio, “non richiamato neanche dopo aver visualizzato il numero della chiamata e neppure dopo avere appreso dell’omicidio della persona con cui il fratello conviveva”.