La corte d’assise d’appello di L’Aquila ha confermato l’ergastolo per Mirko Giancaterino, accusato dell’omicidio di Gabriele Giammarino. “Sono innocente” ha dichiarato l’imputato in aula.
La sentenza è giunta nel pomeriggio. Mirko Giancaterino, 39 anni, pregiudicato e tossicodipendente, è ritenuto colpevole di omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà e incendio doloso, in relazione alla morte di Gabriele Giammarino, ex maresciallo dell’areonautica, trovato cadavere il 13 settembre del 2015, a 80 anni, nella sua casa di via Bernardo Castiglione a Penne (Pescara).
Contro la sentenza di primo grado, emessa un anno fa dalla corte d’assise di Chieti, aveva presentato ricorso l’avvocato Melania Navelli, difensore di Giancaterino, che aveva chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” o almeno “riconoscendo la formula dubitativa”. In via subordinata il legale aveva chiesto la concessione delle attenuanti generiche e una rideterminazione della pena. La corte aquilana, presieduta dal giudice Luigi Catelli (a latere De Matteis), ha invece confermato il carcere a vita per l’imputato. Anche il procuratore generale aveva chiesto la conferma della condanna emessa dai giudici della corte teatina.
Giancaterino, presente in aula, dopo la sentenza ha rilasciato una dichiarazione spontanea, affermando nuovamente la sua innocenza. Le motivazioni della corte aquilana saranno rese note entro il prossimo 15 luglio. La difesa ha annunciato il ricorso in Cassazione.
Secondo l’accusa, Giancaterino entrò nell’abitazione e infierì sul pensionato, colpendolo con violenti pugni e 26 coltellate, per poi appiccare un incendio all’interno dell’immobile. Alla base dell’omicidio, che l’accusa considera con dolo d’impeto, ci sarebbe il rifiuto della vittima di consegnare del denaro, che sarebbe servito a Giancaterino – tossicodipendente – per acquistare droga. A inchiodare Giancaterino sarebbero le immagini riprese da una telecamera di videosorveglianza che si trova lungo la strada in cui abitava la vittima, la testimonianza della badante che abitava al piano di sotto e le tracce di sangue rinvenute sulle scarpe e sui pantaloni della tuta che indossava quel giorno.
Secondo l’avvocato della difesa, invece, le argomentazioni dell’accusa si fondano sulla “totale assenza di riscontri probatori, richiesti insistentemente dalla difesa proprio al fine di accertare la verità e a carico di Giancaterino esistono soltanto indizi. C’è stata una violazione dei diritti della difesa”, ha concluso l’avvocato Melania Navelli. “Le richieste istruttorie da noi proposte non sono state ammesse, nell’ambito di un processo che si è basato sulle carte processuali e non sulle prove”.