Sconfitta da una decisione del Tar Lazio la mobilitazione della Provincia di Teramo e dei comuni: perforazioni di petrolio in Adriatico consentite alla Spectrum Geo. Nel mirino degli ambientalisti anche la tecnica dell’ air gun
Le attività di ricerca di petrolio e gas in Adriatico ottengono semaforo verde dal Tar Lazio, che respinge il ricorso presentato dalla Provincia di Teramo e da 9 comuni, sette abruzzesi e due marchigiani, contro il decreto di Valutazione Integrata Ambientale a favore della società Spectrum Geo. Quest’ultima può ora effettuare le sue attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in Adriatico per un’area estesissima, di circa 30mila chilometri quadrati, di fronte alle coste di cinque regioni adriatiche: Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia. Una sconfitta almeno parziale, quella subita davanti al Tar Lazio dal pool degli Enti Locali, guidati dall’amministrazione provinciale teramana di Renzo Di Sabatino. Ma quasi certamente verrà presentato il ricorso al Consiglio di Stato, come auspicato dal prof. Enzo Di Salvatore dell’Università di Teramo, che ha già espresso forti perplessità sulla sentenza del Tar Lazio, in particolare sulla distinzione tra le attività di prospezione e quelle di ricerca.
In particolare, la preoccupazione manifestata da Provincia, istituzioni locali e ambientalisti nei confronti del progetto riguarda la tecnica dell’ air gun, che per la Spectrum Geo ora sarebbe potenzialmente utilizzabile in maniera estensiva. Si tratta di una tecnica di ispezione dei fondali marini che prevede, ad intervalli molto ravvicinati fra loro, di sparare aria compressa nelle acque marine. Attraverso le onde riflesse è possibile estrarre dati sulla composizione del sottosuolo. Ma, di contro, sottolineano gli ambientalisti. “il fortissimo rumore può provocare danni ed alterazioni comportamentali, talvolta letali, in specie marine assai diverse, in particolare per i cetacei, fino a chilometri di distanza”. Su questo punto Di Salvatore ha osservato che “il legislatore, se lo avesse voluto, avrebbe potuto limitare il divieto di ricerca unicamente all’utilizzo del pozzo esplorativo: cosa che, invece, non ha fatto. Ne va quindi dell’impatto effettivo sull’ambiente che i metodi usati e l’estensione dell’area fanno prevedere”.