Ogni anno dal 12 al 16 Agosto si rinnova la tradizione del culto di San Rocco. Roccamontepiano si riempie di migliaia di persone per ottenere la benedizione del santo e usufruire dei poteri taumaturgici della fonte a lui dedicata.
La festa si protrae per diversi giorni trasformando il paese in un luogo brulicante di persone, voci, rumori, odori e fuochi d’artificio. L’attuale edificio, realizzato negli anni cinquanta, sostituisce una precedente chiesa sopravvissuta al luttuoso evento del 1765 costruita a metà Seicento, probabilmente in occasione dell’epidemia di peste che afflisse il Regno di Napoli nel 1654. Ogni culto religioso è legato a precise condizioni materiali. E’ questo anche il caso del culto di S. Rocco nel Mezzogiorno d’Italia e in particolare negli Abruzzi. Questo culto sembra seguire, quasi inseguire, le piaghe storiche che si sono diffuse nella nostra regione e una in particolare: la peste. Non c’è sempre una precisa corrispondenza, tuttavia il culto di S. Rocco si manifesta più frequentemente nei luoghi colpiti duramente da questo flagello. Il tipico abbigliamento indossato dai medici nel Seicento consisteva in una lunga tunica che arriva fino alle calzature, un paio di guanti, un cappello a tesa larga e, davanti al viso, una maschera lunga a forma di becco che all’interno aveva paglia pressata mista a essenze aromatiche a mo’ di filtro.
Il santuario, la grotta e la fontana dedicata a San Rocco, nonché le numerose bancarelle assiepate ai bordi di Via Roma, vengono prese d’assalto anche per acquistare il tipico boccale di ceramica che porta l’effige del santo. A testimonianza di tanta devozione popolare vi sono gli ex voto, presenti
nel santuario, memorie di riconoscenza di migliaia di pellegrini che accorrono anche a piedi per assistere alle numerose messe (una ogni orafino a mezzanotte). Nella serata del 16 agosto si svolge la solenne processione accompagnata dalla tradizionale sfila delle conche devozionali portate dalle ragazze del paese in costume tradizionale. La fortuna di questa festa religiosa è dovuta alla diffusione del tipico boccale in vernacolo “vucale”, che nasce come “ricordo” per i fedeli. Boccale prodotto dalle botteghe dei ceramisti della vicina cittadina di Rapino. Prodotti nel vicino centro di Rapino, i boccali di San Rocco coprono tutto l’arco del Novecento e possono essere presi come esempio della ceramica popolare novecentesca abruzzese. Ancora oggi, in quasi tutte le abitazioni del territorio, pur considerando i cambiamenti di costume e l’uso, si conservano i vecchi boccali di San Rocco, non più utilizzati per portare il vino a tavola, com’era consuetudine, ma disposti sui mobili a far bella mostra e a ricordare il culto del santo, ancora oggi molto vivo e sentito.
Rapino merita un posto di tutto rilievo tra i centri ceramici storici dell’Abruzzo. Vi operò Fedele Cappelletti forse il maggior decoratore di maioliche di tutto il Meridione, esponente principale della corrente dello storicismo. Vi mossero i primi passi nel campo dell’arte ceramica, sul finire degli anni ’10 del Novecento, i Cascella, il padre Basilio e i tre figli Tommaso, Michele e Giovacchino. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si ebbe un incremento di produzione dovuto al collegamento di Rapino con la strada carrabile principale. Basilio, il capostipite della famiglia Cascella, è stato
artista poliedrico, pittore, illustratore, cartellonista, grafico pubblicitario, incisore, litografo, ceramografo, fotografo, anche se a farlo ricordare ancora oggi fuori dei confini della regione è l’attività d’illustratore, e l’altra di ceramografo: questa, trascurata da quanti localmente negli ultimi tempi si sono interessati a lui. “Se Basilio non avesse altro merito, avrebbe pur sempre quello di essere stato uno dei primi a proporsi, e a indicare ai suoi figli Michele e Tommaso, il compito nobilissimo di far risorgere nell’Abruzzo la speranza di sollevare colà l’antica celebrata arte della ceramica”, scriveva nel 1923 Carlo Carrà occupandosi delle ceramiche esposte quell’anno alla Prima Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Monza, dove l’artista e i figli si erano imposti con le loro maioliche nella piccola sezione riservata all’Abruzzo, due sale, di cui una con le sole opere dei Cascella. Con giudizio pressoché unanime la critica del tempo riconosceva alla famiglia degli artisti pescaresi il fondamentale contributo dato alla rinascita nella regione della ceramica d’arte, che si era isterilita dalle ormai stanche formule eclettiche di Fedele Cappelletti, e dalle riprese di qualche grossolano decoratore di Castelli, dagli istoriati barocchi dei Grue e dei Gentili e dal tipico ‘ornato a paese’ settecentesco.
Nel Novecento a Fara Filiorum Petri, Filetto, Bocca di Valle, Pretoro e in tanti paesi anche più distanti si formavano delle“compagnie” di fedeli che partivano da diverse contrade di ogni singolo paese, nella notte precedente la festa, ad esempio a Fara ci si radunava a Santa Eufemia, Via Madonna e alla Forma. Queste, s’incontravano in punti stabiliti, si fondevano in un’unica carovana e dopo un percorso di un paio d’ore tra canti e preghiere, si ritrovavano davanti la vecchia chiesa per consumare una frugale colazione ed assistere alla prima messa delle sei di mattina. Ogni fedele acquistava per sé e per i propri famigliari la brocca con l’effige del santo, attingeva l’acqua benedetta e la portava, per quanto possibile, piena per il ritorno. Era usata, una volta a casa, per farla bere alla famiglia e per tenerne un po’ riposta nella credenza con la speranza che potesse curare le piccole ferite. L’utilizzo che se ne faceva in seguito era prevalentemente da mensa. Si usava per spillare dalla botte il vino per poi servirlo a tavola. Non deve stupire che gran parte dei boccali utilizzati nella prima vera mostra allestita al Museo dell’Artigianato Ceramico di Pianella provengano da osterie, una di Rocca in particolare. Vi era l’usanza, ancora oggi diffusa, di acquistare il boccale per ogni nuovo nato della famiglia, di solito la più piccola e con la data immancabile dell’anno, a ricordare il lieto evento e soprattutto per porre sotto la protezione del santo la creatura arrivata. A volte era il compare o la comare a donarlo alla famiglia del piccolo. Da fonti orali, si può affermare che all’inizio del secolo scorso, la vendita iniziava addirittura otto giorni prima della festa, tanta ne era la richiesta. Escluso un piccolo negozio negli anni ‘50 di proprietà di Beniamino Vitacolonna, situato strategicamente nel lato opposto alla grotta del santo e attivo anche in altri mesi dell’anno, i venditori erano occasionali e tutti legati per parentela o commercio ai ceramisti di Rapino.
Molti i personaggi che nei primi del Novecento giungono al santuario nei giorni di festa. Gabriele D’Annunzio fu tra questi. Il vate si recò in pellegrinaggio nel santuario di S. Rocco, ciò si deduce da una nota riportata in una lettera scritta a Francesco Paolo Michetti il 31 agosto 1927. Inoltre, nella sua ultima dimora a Gardone Riviera, vi è un ex voto scolpito nella pietra, che recita così: “O Santo delle mie terre lontane Santo Rocco piagato dal tuo cane io che dentro il mastino che mi morde muro due sassi al nostro mal concorte. Die XI Septembris MCMXXVII”. Volendo fare un’indagine ceramologica del
boccale bisogna, innanzitutto, partire da un falso storico apparso tempo fa in una pubblicazione di settore. A oggi non v’è traccia documentale di recipienti anteriori al ‘900.
Nel primo decennio del secolo, i primi a essere realizzati, non contemplavano la figura del Santo come oggi siamo abituati a vederla, ma solo la scritta “Ricordo di San Rocco” (collezione Andrea Iezzi), in alcuni abbreviata in R.S.Rocco con l’anno di produzione. Alcuni esemplari erano privi di quest’ultimo, forse con lo scopo di poter esser di nuovo venduti l’anno successivo. Morfologicamente trattasi di esemplari con un’accentuazione del corpo globulare del boccale che si presenta, per così dire, più “panciuto”. Attorno alla scritta del souvenir, a mo’ di ghirlanda, vi era il “fioraccio”, o la decorazione con rose e spine o anche quella a fiori di campo dipinti a pennello alternati al decoro a spugnetta prevalentemente nei colori del giallo acceso e del blu di Prussia. È solo immediatamente prima del primo decennio del novecento che compaiono i primi esemplari di San Rocco dipinti sul fronte del boccale.
Il corpo del Santo, presumibilmente desunto da un santino “pilota”, utilizzato da diverse botteghe , come in quel tempo Bozzelli, Bontempo e Cappelletti-Vitacolonna, si presenta in una rigida posizione frontale, con una fredda geometria simmetrica degli arti. Non ha in testa, come i modelli successivi, il cappello nero a larga tesa, (spesso coronato da una conchiglia) ma l’aureola di colore rosso o blu. L’iconografia del Santo nel boccale presenta nelle tipiche vesti del pellegrino. Il tabarro, ovvero un mantello a 360 gradi e relativo “tabarrino” o “mozzetta”, mantellina di dimensioni ridotte, posta sopra il lungo tabarro vero e proprio, con funzione protettiva del tronco e delle spalle. Tale posizione delle vesti ha assunto in seguito, proprio in onore del Santo, il nome di “sanrocchino”. San Rocco era rappresentato su di un piedistallo a volte definito, a volte solo abbozzato, sia dipinto sia realizzato con la tecnica della spugnetta. Spesse volte, ai suoi lati campeggiava l’anno diviso a metà tra i due lati del basamento, realizzato quest’ultimo o con pennello o con cerchi colorati derivanti dalla spugnettatura. In alcuni esemplari il nome del santo era proprio inglobato nel piedistallo. La mano destra
abbassata indica la piaga sulla coscia, elemento distintivo della peste, mentre la mano sinistra è in alto a reggere un bastone con un gancio usato dal santo per appendervi la zucca-borraccia , pur se quest’ultima non si rinviene mai nell’iconografia della rappresentazione ceramica, fatta eccezione per un esemplare del 1919 di cui diremo in seguito. Completano il corredo iconografico due conchiglie abbozzate sul tabarrino usate anticamente dal santo per attingere l’acqua, e sul fianco sinistro una piccola fiaschetta attaccata alla cintola che, nella rappresentazione classica del decoratore, vorrebbe indicare il contenitore del medicamento recato con sé da questo ex studente di medicina presso la prestigiosa Facoltà della sua città natale. In tutte le raffigurazioni campeggia alla destra del Santo il cane, di solito di colore nero, che reca in bocca un tozzo di pane, secondo la leggenda sottratto alla mensa del nobile Pallastrelli.
Reste. Questo è il nome dell’animale secondo la tradizione, parte della muta del nobile Gottardo Pallastrelli signore del castello di Sarmato (in provincia di Piacenza). La leggenda narra che un giorno Gottardo vede il suo cane prendere un pane dalla tavola e scappar via. La scena si ripete per più giorni e allora il padrone, incuriosito, lo segue e scopre così il rifugio di Rocco al quale, malato e sofferente, il cane porta il pane rubato. Il nobiluomo prende Rocco con sé e lo cura. La santità di Rocco sembra contagiosa come la sua peste, infatti Gottardo rinuncia a tutti i suoi beni e presta il suo servizio ai malati. Il nobiluomo diventa in tal modo il primo “discepolo” di San Rocco. Sempre nel passaggio post anni ’30 del Novecento la figura presenta, seppur presentando un ornato fresco ed eseguito di getto, un cromatismo vivace con tinte forti e contrapposte, e la sua esecuzione appare più “semplificata”. L’incremento della produzione portò sicuramente a un abbassamento della qualità pittorica. Felice eccezione un boccale di grandi dimensioni datato 1909 con il Santo non nella tipica posizione statica ante anni ’30 e nemmeno in quella successiva, ma chinato a destra con il cappello appeso al collo e con la piaga ben in evidenza. Accucciato accanto al Santo il cane, ben definito nei lineamenti, con l’immancabile tozzo di pane in bocca. A terra il bastone con il gancio e, a oggi unica eccezione, la zucca usata come a accurata ricerca ha portato a rintracciare il Santino pilota usato dal ceramista, trattasi di un’immagine devozionale stampata nel 1898 a Bari con al retro la preghiera. Dagli anni trenta in poi l’iconografia del santo varia con la riduzione del corpo del boccale per passare da una forma globulare accentuata a una più snella, tipica della produzione rapinese. La staticità e l’eccessiva simmetria della figura si modifica assumendo una posizione a tre quarti. L’aureola lascia il posto al cappello a tesa larga, spesse volte con incastonata una conchiglia, mentre le due conchiglie ai lati del tabarrino scompaiono. Il mantello, seguendo la raffigurazione della statua del santo di Roccamontepiano, appare ripiegato vistosamente
all’indietro. In alcuni casi, la decorazione fiorita che attornia S. Rocco lascia lo spazio alla raffigurazione, seppur abbozzata e semplificata, della struttura lignea dorata a quattro colonne che regge la corona che sovrasta la statua e che la racchiude. In questi primi esemplari si rinviene diversità di esecuzione a seconda che trattasi della bottega dei Bozzelli o dei Bontempo. Nei primi la figura rappresentata da queste maestranze appare più definita, più nitida e più ricca di particolari. Della produzione dei Bozzelli si rinvengono due boccali quasi identici del medesimo periodo, uno del quale reca in alto la scritta “Eius in peste patronus”, la medesima è in un altro. Rare le immagini devozionali precedenti alla raffigurazione del santo col cane, come il grande piatto in azzurrrino rappresentante il miracolo mariano, probabilmente la chiave di volta dello sviluppo ceramico a Rapino, trattasi dell’apparizione a un pastorello della Madonna del Carpineto, opera di Fabio Cappelletti. Le altre raffigurazioni religiose si contano sul palmo di una mano: un bassorilievo di Sant’Antonio e una Madonna di Loreto, entrambe opere di Lorenzo Bontempo senior. Suo figlio, Giuseppe, modellò un particolare fischietto rappresentante proprio San Rocco. Soggetto mutilo e acromo con le pieghe dai panneggi morbidi, tratti del viso ben definiti e, nel complesso, proporzioni .
Il culto di San Rocco diffuso in Europa Occidentale a partire dalla seconda metà del 1400 per poi essere approvato da Papa Urbano VIII nel 1602, vanta oggi numeri da record! I comuni in Italia che portano il nome del santo sono 28, 36 le frazioni. Tremila le chiese, le cappelle e gli oratori alzati in suo onore, di cui 119 dei padri francescani. Su 28372 parrocchie, 260 hanno un San Rocco titolare, nello specifico 163 sono dedicate solo a lui e le altre insieme agli altri santi, di preferenza insieme a S. Sebastiano. Non parliamo poi delle cappelle e degli oratori eretti in suo nome, spesso situati alle porte delle città per arrestare il flagello della peste o ai capitelli, collocati essi anche agli incroci delle strade, proprio dove la strada principale si avvia per la campagna. La distribuzione delle parrocchie dedicate a S. Rocco riguarda tutte le regioni d’Italia, tranne la Valle d’Aosta e la Sardegna. In Abruzzo sono dodici.