“Inchiesta operaia” sulla Sevel promossa dai Cobas. I lavoratori si sentono troppo osservati e depressi: ma per tanti è stata una svolta nella vita lavorativa e una seconda famiglia
L’indagine è stata svolta per conto dello Slai Cobas Chieti, dai sociologi dell’associazione “Il laboratorio”, con lo scopo di far emergere percezioni e rappresentazioni della condizione socio-lavorativa all’interno della più grande fabbrica d’Abruzzo.
Nei questionari diversi lavoratori lamentano scarsa solidarietà, condizioni ambientali e tecnologie da migliorare, ritmi e tempi di lavoro insostenibili, retribuzione inadeguata, lavoratori che vengono controllati a vista e pedinati, anche da investigatori privati. Su 500 questionari distribuiti, 316 (circa il 60%) gli operai che hanno risposto, per la maggior di sesso maschile (81%), residenti in 61 diversi comuni. L’87% degli intervistati lavora da oltre 11 anni in Sevel. L’88% si dichiara insoddisfatto della propria attuale condizione: il 75% per “l’intensità del lavoro”, ossia ritmi e carichi esasperanti; nel 32% dei casi per il “livello salariale” (la retribuzione è considerata bassa); a seguire “la nocività e la sicurezza”. Ad “aggravare la condizione dei lavoratori – secondo l’indagine – problemi psicofisici che si sono manifestati (nel 66% dei casi) dopo l’ingresso in fabbrica”, compresa irritabilità, disturbi da ansia e da stress e depressione”. Per tanti, tuttavia, Sevel ha rappresentato anche una svolta, una possibilità, nella propria vita lavorativa. E c’è anche chi la considera una “famiglia” che impone anche rinunce “al tempo libero, ai figli, al coniuge, ai propri hobby”.
Nel frattempo la Fiom terrà una terza giornata di sciopero sabato 12 novembre (nel turno B) contro il recupero della mancata produzione di giugno dovuta a un fermo produttivo causato da un guasto tecnico nella ex Ergom.