“La ZES in Abruzzo non deve saltare”. Cgil Cisl e Uil: “Cambiare passo dopo l’abbandono del Molise”.
“La scelta della Regione Molise di aderire a una Zona economica speciale (Zes) interregionale con la Puglia non deve pregiudicare la possibilità che anche l’Abruzzo realizzi una Zes che può favorire lo sviluppo delle imprese già operanti nel territorio e l’insediamento di nuove attività industriali”. Lo affermano i segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, Sandro Del Fattore, Leo Malandra e Michele Lombardo. La Regione Abruzzo il 7 agosto scorso – ricordano i segretari – ha deliberato per l’istituzione della Zes con la regione Molise, mentre già cinque giorni prima questa aveva a sua volta presentato richiesta formale di adesione alla Zona economica speciale ‘Adriatica’, in corso di istituzione da parte della Regione Puglia. Tutto da rifare dunque, tanto tempo perso e il rischio concreto di perdere questa importante opportunità”. “Bisogna cambiare passo immediatamente” dicono i tre segretari regionali chiedendo alla Giunta regionale “di attivarsi immediatamente per presentare una nuova candidatura all’istituzione della Zes e conseguentemente redigere il piano di sviluppo strategico e la perimetrazione delle aree da includere”. Cgil, Cisl e Uil chiedono inoltre di “essere urgentemente convocate per discutere nel merito ponendo subito la necessità che la Zes abruzzese sia un vero strumento di politica economica ed industriale della regione e non una mera agevolazione fiscale a pioggia per alcune imprese. La Zes – aggiungono- dovrà essere accompagnata da investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, e tutti gli attori in campo dovranno agire in una logica di sistema per sviluppare una grande opportunità di internazionalizzazione delle imprese, a partire da quelle dimensionalmente più piccole. Con la costituzione delle Zes l’Abruzzo deve riuscire in tempi rapidi ad aprire uno sbocco commerciale con il mondo, ad innovarsi e a dotarsi di infrastrutture adeguate, solo così potrà attrarre investimenti, creare lavoro e rifuggire dal rischio di una pericolosa deindustrializzazione”.