Violenza sulle donne: che non sia solo un giorno, che non sia solo una data

Palinsesti, manifesti, dibattiti, slogan, ponti illuminati, panchine addobbate. Tutto per 24 ore, in Italia e nel mondo, parla di donne e delle violenze che subiscono. A casa, al lavoro. Per mano di un compagno piuttosto che di un estraneo. In Abruzzo un moto di eventi.

Troppe le vittime, specie quelle silenziose o messe a tacere per sempre. Le prime sono tutte quelle donne che non hanno la forza per reagire, per dire basta, per denunciare, per scappare. E sono tante. Le seconde sono quelle silenziate per sempre: uccise spesso solo perchè donne. Oggi in tutto il mondo si celebra la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”. Una data simbolica divenuta, purtroppo, un tragico appello di chi non c’è più.

È stata l’assemblea dell’Onu, nel 1999, a scegliere questa data in ricordo del sacrificio delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo in Repubblica Dominicana. Le tre sorelle sono passate alla storia anche con il nome di Las Mariposas (le farfalle), per il coraggio dimostrato nell’opporsi alla dittatura, lottando in prima persona per i diritti delle donne.

E chissà quante donne si sentono ogni giorno farfalle ingabbiate, stritolate tra sensi di colpa e paura, desiderio di proteggere i figli e mani alzate sul viso dai padri di quei figli. Qualcuna ce la fa e spicca il volo, tante restano in gabbia persino fino alla morte.

Uno dei simboli più usati per denunciare la violenza sulle donne e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema sono le scarpe rosse, “abbandonate” in tante piazze. Un simbolo ideato nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet con l’opera Zapatos Rojas. L’installazione è apparsa per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juarez. Con la sua arte Chauvet porta avanti anche una battaglia personale: ricordare, ogni giorno, sua sorella minore, uccisa dal compagno quando aveva 22 anni.

In Italia e anche nel nostro Abruzzo sono poi arrivate le panchine rosse, in alcuni casi azzurre come il cielo ma con lo stesso spirito: commemorare, ricordare, celebrare, non dimenticare. Esattamente ciò che oggi faranno in tanti con la pericolosa disinvoltura di chi vive questa data come una ricorrenza anziché un monito costante e severo. La politica scende in strada, le associazioni in piazza, l’arte racconta il dolore con le tante sfumature che solo essa possiede. I numeri però restano terrificanti. Violenza, tuttavia, non è solo quella di una mano addosso, ma anche di una umiliazione davanti a figli, colleghi, estranei. Violenza è quel controllo persecutorio di movimenti e telefonini. Violenza è quella sul corpo esattamente come sull’anima e sulla dignità. Violenza è anche quella delle donne che tacciono mentre amiche, figlie, madri, colleghe vengono pestate, umiliate, perseguitate. Uccise.

Poi è arrivata la pandemia che ha penalizzato le donne lavoratrici costringendole a dover scegliere, o nella migliore delle ipotesi dividersi, tra lavoro e figli. La pandemia ha richiuso molte donne coi loro compagni violenti per 4 mesi sotto lo stesso tetto. La pandemia ha lasciato a casa donne che riuscivano a portare a casa qualche soldo lavorando saltuariamente.

Che dire delle bambine? Non bisogna spingersi fino in India o in chissà quale angolo del mondo per rabbrividire di violenze, abusi, aggressioni.

Le forze dell’ordine, con estrema e scostante sensibilità, anche in Abruzzo non hanno mai smesso di aiutare donne in difficoltà fornendo loro supporto, tutela e una speranza di tornare a vivere. Purtroppo, però, a fronte di chi può raccontare di avercela fatta ci sono quegli orribili elenchi di nomi, cognomi e sorrisi spenti per sempre. E se la scuola ha, certamente come la famiglia, un ruolo fondamentale per scardinare una volta e per sempre disuguaglianze tra sessi e violenza di genere, sta a chi governa tutelarci davvero con leggi inappellabili e, quindi, a chi giudica sentenziare senza sconti. Ciascuno, poi, faccia la sua parte: iniziando anche da cose semplici come parole, sguardi, giudizi ed etichette sulle donne.

 

Barbara Orsini: