Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta indirizzata al sindaco di Lanciano in cui un cittadino racconta quella che ritiene essere una storia di ‘ordinario razzismo’. Protagonista un 28 enne nigeriano, in regola ma ‘invitato a non dar più fastidio vendendo le sue cose in strada’.
Carissimo Sindaco,
Fino all’ultimo sono stato molto indeciso se scrivere o meno. Ma, questo il primo motivo, le recenti le vicende del CAS di Villa Elce mi hanno convinto della necessità di dire qualcosa intorno a quanto accade, sempre più spesso, in Italia e nella nostra Città. Il secondo è dato da un increscioso episodio che mi ha visto testimone e, purtroppo, protagonista, la settimana scorsa. Certo, viviamo tempi bui: Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta silenzio! Scriveva Bertold Brecht in una poesia non a caso intitolata A quelli che verranno (1938, occhio alla data!). Andiamo in ordine: Bayò è un ragazzo nigeriano di 28 anni, rifugiato politico con regolare permesso di soggiorno, ha fatto gli studi nel suo paese, cattolico praticante, è arrivato sfidando il mare dopo anni di Libia, vive a Pescara, un posto letto a 200 euro insieme ad altri migranti. Viene a Lanciano – perché qui la gente è più buona, dice lui – tutti i giorni tranne il lunedì e mercoledì, in quei giorni, infatti, va a scuola d’italiano. Sì, vende oggetti (lampade a batteria, accendigas) ma con molta discrezione. Niente di strano: è la vita. L’ho conosciuto e, non avendo bisogno di niente, gli ho offerto un caffè. Si stava seduti ad un tavolino esterno di un bar, si parlava, come fanno, o dovrebbero di solito fare, gli esseri umani. Di colpo la voce di un cameriere: Questo, qui non ci può stare, se ne deve andare, perché dà fastidio. Incredulo, ho cercato di capire. L’ordine veniva dall’alto (il titolare del locale, qualche cliente?). Non è stato dato saperlo, pur chiedendo a tutti i presenti. Nessuno aveva il coraggio di rispondere (del resto c’è solo un capitano!). Non si vuole qui sparare sulla Croce rossa (i poveri dipendenti, giovanissimi tra l’altro, a cui chiedo anche scusa per aver alzato la voce con loro). Eppure si chiedeva a me di allontanare il “fastidioso” cliente: discretamente acculturato, regolare, cattolico, educato. Sarà perché era di colore? Ma di colore lo siamo tutti, anche il bianco è un colore, così il giallo, l’olivastro. Solo il sangue è rosso per tutti. In quel momento ho pensato: questo accade nella mia città, nella stessa città dell’ottobre ’43. Mi sono sentito offeso come cittadino italiano e come lancianese. Ho avuto la triste conferma che l’ignoranza è l’anticamera del razzismo e che il razzismo è una stanza buia alla fine del corridoio dell’ignoranza. La storia ha avuto un epilogo, bello e poetico, casuale, come era stato casuale il primo incontro. Dopo circa un’ora ho rivisto Bayò che correva verso la stazione, si è fermato per ringraziarmi, non per il caffè, ma per averlo difeso, e, sorridendo, mi ha chiesto Tu ce l’hai un amore? Forse si può ancora sperare (in quel momento forse perché sto vivendo una difficile fase odontoiatrica, ho invidiato i suoi denti bianchissimi). Penso a quelli che verranno, ché quando sarà venuta l’ora che all’uomo un aiuto sia l’uomo, pensate a noi con indulgenza Ancora Brecht). Pensate a quelli che potevano e non sono intervenuti a difendere un diritto sancito dalla nostra Costituzione (art. 3). Si dovrebbe fare qualcosa, parlare, confrontarsi senza pregiudizi, prendendo spunto dai fatti del CAS e da tante altre non più sopportabili situazioni. Lo chiedo, convintamente, alle Istituzioni di questa città. Un sogno? Può darsi. In inglese la parola Sogno si traduce con Dream (I’ve a dream, M. L. King. Qualcuno ricorda il discorso tenuto da Martin Luther King Jr. il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington ?). Ecco, anagrammando la parola Dream si ottiene la parola Merda. Non è volgarità, bensì indignazione: Facit indignatio versum (Giovenale). Ecco, Sogno contro Merda: pensiamoci. Amiamo il prossimo come noi stessi e restiamo Umani. Per questa, ed altre mille ragioni, forse è venuto il momento di dare, e di fare di più. Con una stretta di mano, come d’uso tra gli uomini liberi. Remo Rapino