Sabato 3 ottobre, a Teramo, flash mob della Mobilitazione per l’Acqua del Gran Sasso: in piazza dalle ore 16:00 per reclamare i 100 litri di acqua potabile al secondo che oggi vanno “a scarico”.
Nel giorno che segna l’anniversario del sequestro, le associazioni Forum H2O e Martello del Fucino inviano una lettera aperta alla Procura di Teramo: “Gran Sasso, in due anni persi oltre sei miliardi di litri di preziosa acqua potabile. Un bilancio – amaro – di questi anni. Singolare porre sotto chiave il patrimonio idrico, ma non la fonte del rischio; un po’ come sequestrare il fiume e non il depuratore che non funziona”.
Sabato 3 ottobre dalle ore 16:00, nel pieno rispetto delle norme anti-covid, si terrà un flash mob in Piazza Martiri, a Teramo, per reclamare la necessità di restituire i 100 litri di acqua al secondo ai cittadini.
Qui di seguito il comunicato integrale delle due associazioni:
“6.307.200.000 (sei miliardi trecentosette milioni e duecentomila) litri di preziosa acqua potabile sono stati sottratti all’uso dei cittadini e sono andati ‘persi’ da quando, esattamente due anni or sono, il 29 settembre 2018, la Procura della Repubblica di Teramo ha posto sotto sequestro la rete di captazione dell’acqua che corre sotto i Laboratori di Fisica Nucleare del Gran Sasso, mandando a scarico circa 100 litri di acqua al secondo; rete che contribuisce a dissetare centinaia di migliaia di cittadini abruzzesi esposta ad esiziale ed irredimibile rischio dalle 2.300 tonnellate di sostanze pericolose, consistenti in trimetilbenzene e acqua ragia degli esperimenti Borexino e LVD condotti dai ricercatori dell’INFN.
Il sequestro ci parve invero piuttosto singolare già dai primi istanti, visto che venne posto metaforicamente sotto chiave il patrimonio idrico sottoposto al rischio, ma non la fonte da cui traeva origine il problema! Insomma, un po’ come sequestrare il fiume e non il depuratore che non funziona.
Essendo persone di mondo, ci parve di capire che la Procura di Teramo questa volta avesse scelto di determinarsi secondo una strategia improntata alla ‘moral suasion’, diversamente dal 2003 quando, con decisione di diverso spessore, ebbe l’ardire di sequestrare la sala C dei Laboratori, tranne poi addivenire a più miti consigli nel 2004 cedendo dopo solo un anno le chiavi al commissario governativo Balducci. Peccato che le criticità che avevano giustificato quel lontano provvedimento di sequestro siano rimaste sostanzialmente inalterate – alcune di esse anche peggiorate – fino al nostro intervento del 2017, tredici anni dopo, e sino ai nostri giorni. Di qui, forse, il diverso approccio.
Il 29 settembre 2018, visto il tipo di confronto a cui eravamo stati costretti dalla superficialità e dal conformismo antiscientifico di buona parte della stampa nazionale (mentre a scala internazionale Nature, ad esempio, pensò bene di approfondire; dove i cittadini parevano essere mere comparse rispetto alle magnifiche sorti e progressive della cosiddetta eccellenza dei Laboratori, che non può errare per definizione, astratta e dogmatica; con solo qualche spiraglio di luce come l’intervento di Nadia Toffa delle Iene) ci unimmo incauti all’applauso dell’azione della Procura. Oggi ammettiamo che il nostro fu mero opportunismo di sopravvivenza, crediamo giustificato, visto che gli atti d’indagine almeno asseveravano quello che avevamo messo nero su bianco già da oltre un anno, essendo il primo esposto dell’aprile 2017.
Strategia, quella adottata dalla Procura, a nostro avviso in generale impropria, in quanto crediamo che le questioni di opportunità nonché lo svolgimento di riunioni più o meno formali con amministratori pubblici, esulino in radice dal grave compito dell’esercizio della Giustizia. D’altro lato, se questa scelta della Procura portasse a una qualche concretezza nella determinazione degli enti, forse saremmo stati anche pronti a ricrederci, non certo sull’opportunità teorica ma almeno sul lato pratico incarnato dalla possibile auspicata risoluzione dei problemi (che è quello che alla fine preme).
Oggi, 6.307.200.000 litri di preziosa acqua potabile passati inutilmente sotto i ponti, dobbiamo chiederci se anche questa speranza è risultata vana. Ad anni di distanza possiamo fare un breve bilancio della nostra azione, fatta di lettere, accessi agli atti, manifestazioni e, appunto, esposti inviati a tutte le Istituzioni:
- dopo 12 (dodici) anni passati a giocare a rimpiattino, le Autorità preposte si sono degnate a fine 2018 di mettere il timbro sul Rapporto di Sicurezza dei Laboratori, obbligatorio dal 2006 non per gioco ma per prevenire incidenti rilevanti sulla base della Direttiva Europea “Seveso” per gli impianti a rischio di incidente rilevante. Così sono classificati i Laboratori a causa della presenza delle 2.300 tonnellate di sostanze pericolose.
(Approvazione a nostro modesto avviso giunta in modo piuttosto azzardato vista, tra l’altro, la sottovalutazione del rischio sismico e l’omissione di dati e valutazioni basilari richiesti dalle Linee guida sulle Faglie Attive e Capaci, redatte non dagli estensori della presente missiva ma dalla Protezione Civile nazionale nel 2016. Insomma, ci siamo “persi” la faglia di Campo Imperatore e la dislocazione che essa può causare in caso di forte terremoto);
- dopo 8 (otto) anni le prefetture di Teramo e L’Aquila hanno aggiornato il Piano di Emergenza Esterno diretto alla popolazione, scaduto senza troppi clamori nel 2011. Documento che dovrebbe esclusivamente e pedissequamente discendere dal Rapporto di Sicurezza di cui sopra ma che le due prefetture hanno ritenuto (opportunamente, perché non siamo per il tanto peggio tanto meglio) integrare considerando la famosa faglia e la possibile dislocazione. Purtroppo, solo per la gestione degli effetti sulla popolazione e non per poter agire sulle cause e, cioè, le modalità di progettazione e conduzione degli esperimenti. Insomma, almeno hanno pensato di mettere qualche toppa alle dichiarazioni non esattamente corrispondenti alla realtà derivanti dall’esame del Rapporto di Sicurezza;
- è stata finalmente applicata la Valutazione di Incidenza Ambientale per l’esperimento LUNA MV, di derivazione dalla normativa comunitaria. Incidentalmente facciamo notare che il fatto che, secondo la stessa Procura, tale norma europea sia rimasta oggettivamente “inattuata” per gli altri esperimenti realizzati sotto il Gran Sasso, alle nostre latitudini non pare comportare conseguenze di genere alcuno.
- La Regione Abruzzo ha inflitto una multa di 35.000 (trentacinquemila) euro all’INFN per aver realizzato il bunker di Luna MV prima di aver acquisito tutte le autorizzazioni e i pareri;
- il CTR ha, nel 2018, inflitto una multa per aver trovato il Piano di Emergenza Interna dei Laboratori scaduto;
- i VV.FF. in una visita ispettiva del 2018 hanno contestato tre reati per violazioni delle norme di prevenzione anti-incendio e infortuni sul lavoro;
- i Laboratori INFN hanno depositato la SCIA ‘in sanatoria’ al municipio di L’Aquila per il bunker, realizzato (ohibò!) prima di ottenere le relative autorizzazioni;
- la Regione Abruzzo a febbraio 2018 con la Delibera 33/2019 ha imposto il termine del 31 dicembre 2020 per l’allontanamento delle 2.300 tonnellate di sostanze pericolose dai Laboratori stoccate irregolarmente vicino ai punti di captazione, nonostante precise leggi lo vietassero. Hanno dato quasi due anni di tempo per adeguarsi, ponendo un limite per il quale dubitiamo che la sua fissazione in questi termini così laschi fosse nella esatta disponibilità di quell’Ente.
Facciamo fatica a considerare tutto ciò espressione (e persino inevitabile cascame) di un’eccellenza, forse perché riteniamo che la sicurezza, soprattutto se riguarda potenziali effetti sui diritti basilari dei cittadini, sia parte integrante-costituente di qualsiasi attività umana; e ancora di più per quella svolta da soggetti votati alla scienza e alla ricerca.
Nel frattempo hanno approvato il Progetto LUNA MV attraverso contorcimenti istruttori sulle norme per la tutela dell’acqua potabile che, per come sono stati scritti i pareri, rischiano di far mandare a scarico quei 100 (cento) litri di acqua al secondo per decenni. Altro che 6.307.200.000 (sei miliardi trecentosette milioni e duecentomila) di litri, a quel punto.
Nel mentre, è decorso inutilmente il termine del 30 aprile 2019, appuntamento che era stato fissato ben tredici anni prima, nel 2006, per la messa in sicurezza delle gallerie autostradali sulla base del D.lgs.264/2006; da oltre un anno i cittadini sono costretti alla carreggiata unica e ai limiti di velocità a 60 km/h senza che nessun lavoro sostanziale s’intraveda all’orizzonte.
Il MIT, guarda caso dopo i nostri plurimi e defatiganti accessi agli atti, che evidenziavano che fino al 2018 alcuna ispezione era stata svolta dai funzionari romani, si è risvegliato e, sulla base di una circolare del 1967 (sì, millenovecentosessantasette, non scherziamo) ha imposto le ispezioni sullo stato delle gallerie, dopo che peraltro avevamo rivelato che la stessa ‘Strada dei Parchi S.p.A.’ dal 2016 faceva emergere in alcuni documenti gravi criticità sul punto.
Tutte “pezze”, più o meno coprenti, che hanno peggiorato la vita ai cittadini.
Nel frattempo la Procura ha pure teorizzato che non è necessario il nulla osta del Parco nazionale del Gran Sasso per la realizzazione delle opere nei Laboratori in quanto manufatti non rilevanti (tra questi un bunker di cemento armato con pareti di 80 cm. di spessore e 25 metri di lunghezza), opere che pure hanno necessitato di Valutazione di Incidenza e Verifica di Assoggettabilità a V.I.A.. Tutto ciò nonostante le conclusioni diametralmente opposte a cui erano giunti Ente Parco e Carabinieri dei NOE e cioè, che il nulla osta fosse, pacificamente, obbligatorio
[Se passasse questa “teoria dell’irrilevanza”, siamo pronti a scrivere a tutti i parchi nazionali italiani perché a quel punto, traendo dal principio tutte le conseguenze, vorrebbe dire che si impone da decenni in maniera illegittima il nulla osta ai cittadini pure per realizzare non diciamo bunker di cemento armato ma per costruire una semplice recinzione o per posizionare un bombolone per il riscaldamento, o una rimessa in legno per gli attrezzi agricoli].
In tutto ciò, gli enti nazionali hanno impiegato un anno per trovare la famosa scrivania su cui far lavorare il nuovo Commissario per l’emergenza.
Nel frattempo, prima il TAR e poi il Parlamento hanno pensato bene di nominare altri due commissari, per cui A24 e A25 ora ne hanno ben tre. Sarà complicato regolare l’intercetto di competenze tra essi!
Nel frattempo, però, ad onor del vero, abbiamo un sistema di allarme per l’eventuale presenza di inquinamento nell’acqua. Bene, anche se vorremmo ricordare che la gestione dell’acqua potabile si fa attraverso la prevenzione dell’inquinamento, agendo a monte e non a valle, perché la contaminazione può comportare l’impossibilità di usare per mesi se non per anni l’acquifero per dare da bere ai cittadini.
Nel frattempo la Giunta Regionale abruzzese non ha ancora approvato la perimetrazione delle aree di salvaguardia per l’acqua potabile imposta da una legge statale del 2006 (quattordici anni fa), nonostante siano stati spesi 480.000 (quattrocentottantamila) euro per il relativo studio, da tre anni ormai nel cassetto.
Nel frattempo il processo penale connesso al sequestro della rete acquedottistica non procede, come avevamo largamente previsto non provando neanche a costituirci onde non perdere tempo.
Nel frattempo si avvicina la scadenza del 31 dicembre 2020 per l’allontanamento delle sostanze pericolose dai Laboratori senza che, almeno a nostra conoscenza, un grammo di quel materiale sia stato sinora portato via.
Nel frattempo, appunto, al momento di scrivere questa lettera saranno andati persi 6.307.200.000 (sei miliardi trecentosette milioni e duecentomila) di litri d’acqua potenzialmente potabile. Il giorno dopo ne andranno persi altri 8.640.000 (otto milioni seicentoquarantamila) e così via ogni giorno che passa. Mentre usciamo da un’estate che ha visto in Abruzzo gli enti preposti all’adduzione nelle case raccomandarsi di risparmiare l’acqua, contingentarla, e persino consigliare di reintrodurre l’autoclave!
I cittadini rischiano ogni estate di dover bere dalle autobotti, e tutto ciò non avviene per il destino cinico e baro. Nella speranza di non dover ricorrere, in futuro, alla sola acqua minerale, in questa nostra regione così nostalgica di soluzioni semplici proprie della metà del secolo scorso, e dedita ad una continua rimozione delle questioni che non ha la forza di affrontare.
Chiediamo alla Procura della Repubblica di Teramo: quella che ci è sembrata, forse sbagliando, una strategia improntata alla ‘moral suasion’, sta funzionando?