Abruzzo: dipendente di una ditta di trasporti licenziato per avere abusato del congedo parentale non dedicandosi esclusivamente alla cura del figlio. La sentenza della Corte d’appello di L’Aquila confermata dalla Cassazione.
Ha avuto molta eco sulla stampa la vicenda che riguarda un lavoratore di una ditta di trasporti licenziato per abuso del congedo parentale. A fare notizia, oltre allo specifico giudiziario, è anche l’originalità, in un paese come l’Italia, di un uomo che ha scelto di utilizzare la legge sul congedo parentale: nel nostro Paese vi ricorre solo il 7% dei genitori, contro, per esempio, il 70% della Svezia. Secondo la legge italiana il lavoratore-genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro fino ai primi otto anni di vita del bambino, percependo solo fino al terzo anno un’indennità pari al 30% dello stipendio. Il permesso però è strettamente connesso “all’interesse del tutelato”, il bambino, un impegno che il dipendente aquilano avrebbe disatteso. Già la Corte d’Appello di L’Aquila aveva stabilito che l’avere fatto ricorso al congedo parentale non utilizzando il permesso dal lavoro esclusivamente per la cura diretta del bambino giustificasse il licenziamento disciplinare del papà abruzzese. Ora la sezione lavoro della Cassazione ha confermato la decisione dei giudici aquilani. Decisiva è stata la documentazione prodotta dall’azienda, che si è avvalsa anche di un detective privato per seguire il genitore, sorpreso “per oltre la metà del tempo concesso a titolo di permesso parentale a non svolgere alcuna attività a favore del figlio”. Secondo la Cassazione la condotta dell’uomo è stata “contraria e lesiva della buona fede del datore di lavoro, privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente”. Il dipendente, nel suo ricorso, aveva puntato sull’illegittimità del licenziamento rilevando che il congedo non sia equiparabile ai permessi per assistere familiari disabili previsti dalla legge 104 e che non era stato accertato che avesse svolto altro lavoro nel periodo di congedo. I giudici della Cassazione invece osservano che il principio vale sia per chi durante il congedo si dedica ad altro lavoro, anche se lo fa per “l’organizzazione economica e sociale della famiglia”, sia per il genitore che “trascura la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività”. Perché, spiegano i giudici, “conta non tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio, quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore”. Infatti, il congedo “non attiene a esigenze puramente fisiologiche del minore ma, specificamente, intende appagare i suoi bisogni affettivi e relazionali onde realizzare il pieno sviluppo della sua personalità sin dal momento dell’ingresso in famiglia”.
I dati dell’Inps, fermi al 2015, mostrano che in Italia cresce il numero di padri che chiedono il congedo parentale volontario: tra i lavoratori dipendenti nel settore privato sono stati 5.432 nel 2013, 8.131 nel 2014 e 9.582 nel 2015. Certo, il nostro Paese non regge al confronto con il Nord Europa. In Finlandia, per esempio, i papà finlandesi hanno a disposizione 54 giorni di congedo parentale retribuito, quelli italiani appena 2, a ameno di non ricorrere al congedo facoltativo, che implica la rinuncia al 70 per cento dello stipendio. Tornando alla Svezia, sin dal 1971 è stata la prima nazione al mondo a prevedere il congedo condiviso. Per incoraggiare una distribuzione più equa nella cura dei figli il governo svedese concede per ogni nuovo nato 480 giorni di congedo parentale retribuito, che entrambi i genitori possono spalmare sulle esigenze personali, a patto però che ciascuno dei due usufruisca di un periodo minimo di tre mesi. L’obiettivo è sia far partecipare i papà alla vita familiare, che non far ricadere sulle sole donne l’onere della cura. Senza contare che la misura aiuta anche a sconfiggere le discriminazioni delle donne nella vita professionale, per esempio se l’azienda sa che le possibilità di assenza per l’arrivo di un figlio sono uguali per i genitori, ha meno preconcetti nell’assumere una donna.