Processo omicidio Sterlecchini: la Corte d’Appello conferma 30 anni

La Corte d’Appello de L’Aquila ha appena confermato la condanna a 30 anni di carcere per l’omicida di Jennifer Sterlecchini, Davide Troilo. In lacrime mamma Fabiola e l’amato fratello Jonathan.

La Corte d’Appello de L’Aquila ha confermato per Davide Troilo, l’assassino di Jennifer Sterlecchini, la condanna di primo grado a 30 anni di carcere. Alle 16.30 in punto i giudici hanno letto in aula la sentenza tra la commozione di mamma Fabiola e Jonathan l’amato fratello della povera ragazza, uccisa nel dicembre del 2017 a botte e coltellate. Come richiesto in mattinata dal procuratore generale Alberto Sgambati, al quale si sono unite le parti civili, è stata dunque confermata la sentenza di primo grado. La difesa dell’imputato, affidata all’avvocato Giancarlo De Marco, aveva contestato l’aggravante dei futili motivi, invocando la concessione delle attenuanti generiche, ma la Corte ha deciso diversamente. Troilo, presente in aula, è rimasto in silenzio.

Lungo e commovente l’abbraccio col quale mamma Fabiola ha stretto a sè Jonathan e, subito dopo, l’avvocatessa Rossella Gasbarri, legale della famiglia Sterlecchini.

In aula questa mattina era arrivato, per assistere al processo, l’assassino di Jennifer, l’ex fidanzato Davide Troilo: nell’arringa del suo legale difensore l’estremo tentativo di arrivare ad una pena ridotta rispetto ai 30 anni inflitti in primo grado dal Tribunale di Pescara.

Per l’intera giornata, fuori dall’aula ‘D’ della Corte d’Appello in tanti tra amici e conoscenti di Jennifer avevano manifestato, con slogan e striscioni, contro il rito abbreviato: è grazie ad esso che Troilo ha chiesto e ottenuto lo sconto di un terzo della pena evitando di fatto l’ergastolo. E questo, anche nel nostro Abruzzo, non è l’unico caso in cui un assassino schiva il carcere a vita ricorrendo al rito abbreviato.

Sin dal primo interrogatorio Troilo ha sempre raccontato che il litigio con Jennifer, quel maledetto 2 dicembre del 2016, si scatenò a causa di un tablet che la ragazza pretendeva di portare via: fuori dalla porta di casa c’erano mamma Fabiola e una cara amica di Jenny. Avevano finito di recuperare le ultime cose lasciate dalla ragazza in quella che era stata la casa dove Jennifer aveva provato ad amare e costruire una famiglia con Davide. Lui la ucciderà di botte e coltellate, 17.

Il 24 gennaio 2018, la sentenza di primo grado che condanna Troilo a 30 anni di carcere. La perizia psichiatrica, infatti, ha escluso che, al momento del delitto, Troilo fosse affetto “da patologie psichiatriche” e, pertanto, fosse in grado “di intendere e volere”. Il giudice nella sentenza di primo grado scrisse che la vittima, “venne aggredita in maniera subdola ed improvvisa”, colpita ripetutamente “con inaudita violenza”, senza avere avuto “neppure il tempo per provare a porre in essere un’azione concreta di difesa”. E sempre il giudice definì Troilo “un soggetto assolutamente privo di autocontrollo, che è stato capace di porre in essere una condotta violenta, efferata, adducendo motivi futili e banali, in danno di una persona inerme e indifesa”.

 

Barbara Orsini: