Si è tornati a parlare, in questi giorni, di acque nere e maleodoranti presenti nel fiume Pescara in località San Martino di Chieti, nelle immediate vicinanze del depuratore in zona Selvaiezzi.
Purtroppo non è una notizia nuova- segnala in una nota il WWF – le guardie ambientali WWF stanno seguendo da mesi la questione, segnalata formalmente al Comando Regione dei Carabinieri-Forestali con una nota, corredata da alcune fotografie e da precise indicazioni georeferenziate, inviata attraverso posta elettronica certificata già il 21 novembre dello scorso anno. La scoperta era stata fatta qualche giorno prima, il 18, durante una consueta attività di vigilanza lungo il fiume. Le guardie WWF avevano avvertito fastidiosi cattivi odori e, seguendone la scia, si erano imbattute in una grossa condotta di scarico
“dalla quale – citiamo alla lettera dalla segnalazione -, nonostante il fiume avesse una portata di piena con acque marroni cariche di sedimenti, fuoriusciva copiosa e abbondante acqua di colore nero e densa che faticava a mescolarsi con le acque di portata del fiume; da lì l’odore era insopportabile”.
L’ispezione, ripetuta già in giorno dopo e in varie altre successive occasioni, ha confermato il perdurare del problema, evidente anche questa mattina, quando le nostre guardie si sono incontrate sul posto con gli inquirenti (Carabinieri Forestali e Guardia costiera) mettendo a loro disposizione il materiale raccolto in questi mesi.
«Il lavoro di controllo del territorio svolto dalle nostre guardie ambientali – sottolinea la presidente del WWF Chieti-Pescara Nicoletta Di Francesco – è davvero enorme, ed è stato portato avanti per quanto possibile e nel pieno rispetto delle regole anche in questi difficili mesi di emergenza sanitaria. Vorrei tuttavia ricordare che si tratta di volontari che sacrificano il proprio tempo libero per operare in favore della comunità e non possono essere presenti ovunque e sempre. Devono essere tutti i cittadini a “sorvegliare” il proprio territorio, segnalando ogni anomalia alle autorità competenti. Noi operiamo proprio in questo modo perché ci interessa cooperare per risolvere i problemi e per individuare eventuali comportamenti scorretti e non collezionare consensi sui social. Per questo, e per non intralciare il lavoro degli inquirenti, molte volte gli esposti non vengono pubblicizzati, come è avvenuto in questo caso».