“Basta regali ai cacciatori: no a preapertura e prolungamento dei periodi di caccia”. Lo dice il Wwf, che ha inviato alla Regione le osservazioni sul calendario venatorio per la stagione 2018-19.
Per gli ambientalisti quanto optato dall’ente regionale è una grave carenza di pianificazione, più volte censurata dai giudici amministrativi in varie sentenze emesse a seguito di ricorsi presentati dal WWF. La situazione è aggravata, sempre secondo il Wwf, dalla mancanza di un osservatorio faunistico regionale (OFR), un importante strumento di studio e di monitoraggio e tutela, previsto dalla legge regionale n. 10/2004.
Il Wwf ricorda di aver apprezzato nel 2017 l’iniziativa presa dalla giunta regionale abruzzese di eliminare finalmente la preapertura della caccia a settembre e di effettuare un’apertura unica il 1° ottobre. Purtroppo, nella proposta di calendario venatorio in esame, la giunta regionale reintroduce l’apertura dal 16 settembre, vanificando la scelta innovativa e coraggiosa dello scorso anno e dimenticando tra l’altro che l’apertura generale a ottobre era stata chiesta anche dall’ISPRA. Eliminando la preapertura, torneranno a crearsi impatti negativi della caccia sulla fauna selvatica, anche su quella non cacciabile, in quanto, come è noto, a settembre molte specie sono ancora nella fase di cura della prole. Aumenterà il fenomeno del bracconaggio che avviene soprattutto quando la caccia è consentita solo ad alcune specie.
Nei giorni scorsi il Tar dell’Umbria ha accolto il ricorso presentato dal Wwf, che in una nota ha commentato:
“Questa decisione deve essere un monito, non solo per gli amministratori umbri, ma anche per quelli delle altre regioni. Se le regioni continueranno a emanare atti non conformi alle leggi di tutela della fauna selvatica e non appronteranno provvedimenti che limitano le forme di caccia, rendendole “sostenibili”, il Wwf continuerà a utilizzare la via giudiziaria per difendere la fauna e il diritto, anche inviando esposti alla corte dei conti contro i pubblici amministratori che, con le loro scelte non conformi alle normative di settore, provocano notevoli danni non solo agli animai selvatici, ma anche alle tasche dei contribuenti.