Chat di classe: i limiti del Garante all’uso, spiegati da un esperto

Andrea Monti, professore Digital Law all’Ud’A, puntualizza i limiti e le regole da osservare nelle chat di classe sempre più diffuse tra genitori e studenti

Domanda. Professore sta sollevando molte discussioni la posizione del Garante della privacy sulla questione dei limiti all’uso delle chat di classe. Come stanno le cose?

Risposta. Innanzi tutto, bisogna dire che il regolamento comunitario (il cosiddetto GDPR) disciplina la circolazione dei dati personali e non la “privacy” che, invece, è tutelata dall’articolo 615 bis del Codice penale (interferenze illecite nella vita privata).
Inoltre, il GDPR non si applica ai trattamenti eseguiti nell’ambito della vita privata a meno che i dati non siano destinati alla diffusione. La differenza è cruciale perché “diffusione” significa mettere a disposizione di chiunque dati e informazioni, mentre quello che accade in una chat è, tecnicamente, una “comunicazione” cioè un scambio di un numero limitato di persone.

D. Ma allora si può fare tutto quello che si vuole con le chat di classe?

R. No, perché ci sono altre norme che sono più rilevanti rispetto al GDPR. Usare la chat per insultare e minacciare può integrare i reati di violenza privata o diffamazione. Anche peggio se poi testi, vocali, immagini e video vengono inoltrati a soggetti estranei alla chat di classe senza un giustificato motivo.

D. Per esempio?

R.Per esempio, mettere a disposizione il contenuto di una chat all’autorità giudiziaria o al proprio legale per consentire la valutazione di un fatto o di un’affermazione è senz’altro lecito. Al contrario, e a prescindere dal GDPR, ripubblicare contenuti magari sul proprio profilo social con lo scopo di esporre al pubblico ludibrio un insegnante, un altro genitore o addirittura un minore non è certamente consentito.

 

Paolo Durante: