Oggi pomeriggio a Chieti sarà presentato il libro di Antonio Giammarino “Donne che si ritrovano dentro” e si parlerà donne che vivono in carcere, delle caratteristiche della detenzione “di genere” e dei possibili percorsi di un approccio nuovo per il recupero sociale delle detenute
L’incontro dibattito viene ospitato dal museo “Costantino Barbella” di via De Lollis con inizio alle ore 18. Presentazione del libro e tavola rotonda sono organizzati dalla Fidapa di Chieti e dalla libreria De Luca.
Parteciperanno all’incontro, oltre all’autore del libro, la presidente della Fidapa di Chieti Antonia Di Nisio, il direttore della casa circondariale di Chieti Franco Pettinelli, la comandante della casa circondariale Alessandra Costantini, l’ispettrice superiore del carcere di Chieti Mirella Ballarò, il presidente dell’associazione di volontariato “Voci di dentro” Francesco Lo Piccolo, il sociologo-criminologo dell’Ateneo “Gabriele D’Annunzio” e garante dei detenuti della Regione Abruzzo Gianmarco Cifaldi. Modera la giornalista Laura Di Russo.
Gli organizzatori spiegano che il libro “Donne che stanno dentro” è il <racconto di un’esperienza straordinaria, all’interno della sezione femminile del carcere di Chieti, di un percorso formativo e di un laboratorio artistico: una delle tante esperienze dell’autore, che nella sua vita si è dedicato a numerosi progetti verso gli “invisibili” e gli emarginati della società, in special modo i detenuti, che ha avvicinato e conosciuto nelle case circondariali di Pescara e Chieti.
Come vivono le donne detenute? Quali sono i servizi a loro dedicati all’interno delle carceri? Come possono trovarsi le donne chiuse dentro case circondariali pensate e organizzate prevalentemente per gli uomini? Esiste un problema di “pari opportunità” anche all’interno delle carceri? Domande che forse un cittadino comune non ha mai pensato di porsi, ma che, in realtà, fanno riflettere, se pensiamo che le donne, presenti in percentuale molto inferiori rispetto alla popolazione carceraria maschile, dimostrano, anche nel percorso di recupero, una tendenza più spiccata all’autoanalisi, e affrontano un cammino più doloroso a causa della privazione affettiva e familiare, che rende lo status di recluse diverso da quello degli uomini>.