Crollo Convitto, la condanna di Bearzi fa riflettere, c’è chi invoca la grazia e parla di giustizia imperfetta. L’ex preside del Convitto venuto giù nel sisma del 2009 è stato arrestato a Udine dopo il pronunciamento definitivo della Cassazione.
In termini giuridici costituiscono l’elemento soggettivo del reato e la differenza tra loro è fondamentale. La percezione nell’opinione pubblica invece è più liquida, i confini meno imbrigliabili. Così accade che quando viene emessa una sentenza che in quei confini – umani, ma anche giuridici – ci sta stretta, la gente si divida. E’ successo in passato e succede anche oggi, per esempio nel caso della recente condanna definitiva di Livio Bearzi, preside del Convitto nazionale dell’Aquila, venuto già col suo carico di innocenti la notte del terremoto del 2009. Per capire meglio occorre prima ricordare la differenza di cui sopra, ossia quella tra colpa e dolo: la colpa sussiste quando l’autore del reato, pur agendo volontariamente, non prende coscienza delle conseguenze possibili, che a loro volta si producono per negligenza, imprudenza o imperizia a lui imputabili. Altra cosa è il dolo, che implica un’azione volontaria e cosciente. E’ possibile che il preside Bearzi non abbia disposto adeguati interventi antisismici sull’edificio scolastico, perché si sa come funziona con le risorse pubbliche e tra l’altro le scuole sono di competenza della provincia. Al Convitto però mancava anche un piano per la sicurezza, tuttavia è evidente che le accuse contestate a Bearzi abbiano carattere di colpa ma non di dolo; tra l’altro dentro l’edifico crollato quella notte c’era pure lo stesso preside con la famiglia. E anche il fatto di non aver disposto l’evacuazione non è stata, ovviamente, un’azione dolosa volontaria atta a colpire qualcuno coscientemente, semmai una sottovalutazione del rischio, o una leggerezza. Ed è anche vero che non spettava al preside valutare la pericolosità effettiva delle scosse che quella notte, come tante altre prima e dopo, si susseguivano. Semmai alla Commissione Grandi Rischi che lì si riunì pochi giorni prima, ammesso che “fosse” la commissione e che si fosse riunita davvero per valutare i rischi e non per “un’operazione mediatica” (ma questo sarà oggetto della sentenza che, da domani, potrebbe emergere dalla corte di Cassazione). Allora, che colpe ha Bearzi, che pure è già in carcere per scontare quella che, al momento solo per lui, è condanna definitiva, quattro anni per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose? E’ davvero per la sua negligenza che sotto le macerie del Convitto morirono tre giovanissimi studenti? Se la Cassazione ha già deciso applicando la legge, non è altrettanto facile per uomini e donne, più inclini a farne un caso di coscienza. Capita così che la città, persino quella città, L’Aquila, si divida: per chi l’ha visto al lavoro, con passione e dedizione, Bearzi non aveva strumenti né materiali né professionali per proteggere gli alunni, né toccava a lui farlo. Altri aggiungono che le sue colpe, se ci sono, sono relative, e che lui non debba essere chiamato a pagare per tutti rispondendo della sicurezza degli edifici scolastici. Tra questi cottadini ci sono quelli che approvano la richiesta di grazia per l’ex preside Bearzi. Poi ci sono gli altri, quelli che un colpevole – pure senza dolo – lo considerano comunque individuato e condannato e che si domandano perché la coscienza debba sostituirsi alla giustizia quando questa si sia già pronunciata. E qualcuno aggiunge che se si comincia così non ci sarà mai nessun responsabile e che l’unico colpevole alla fine resterà il terremoto. Torniamo allora al dolo e alla colpa: una ulteriore distinzione stabilisce che in tutti i casi in cui l’evento è stato previsto come possibile, ma si era sicuri che non si verificasse, si sia di fronte a colpa cosciente e non dolo eventuale… il pensiero torna subito alle – presunte? – rassicurazioni emerse dalla – presunta? – riunione della Grandi Rischi e a chi invitava al relax bevendo un bel bicchiere di Montepulciano. Cin cin, e L’Aquila è crollata.