Una popolazione piegata dal terremoto e dalla difficile ricostruzione non soltanto fisica, ma soprattutto sociale, un comunità che ha mostrato negli anni tenacia e coraggio, ma che ancora oggi paga le conseguenze intangibili di un trauma difficile da ricucire.
Il vescovo dell’Aquila Giuseppe Petrocchi parla della sua comunità, quella degli aquilani e delle decine di piccoli paesi messi in ginocchio dal sisma del 2009. A pochi giorni dal nono anniversario della scossa che ha portato via 309 persone, come non guardare nell’anima delle persone, dentro la ricostruzione più profonda? Ci sono faglie spirituali, psicologiche, prima che materiali, da colmare con un grande sforzo collettivo, un impegno che non sia appannaggio soltanto delle classi politiche ed economiche. L’arcivescovo Giuseppe Petrocchi, arrivato alla guida della Diocesi aquilana nel 2013, parla di un terremoto esterno, visibile nelle architetture, ma soprattutto interiore, che colpisce l’anima, evidente, ad esempio, nei dati diffusi di recente dal Sert dell’Aquila, sul consumo di alcool, droghe e psicofarmaci, che toccano punte allarmanti. Decine ancora gli interventi attesi sulle chiese aquilane danneggiate dal sisma, oltre 300 quelle ancora da ristrutturare e restituire al culto e alla comunità. Tra cui la cattedrale di San Massimo, i cui lavori dovrebbero finalmente partire entro l’estate.
“Bisognerà – dice Petrocchi – concentrare gli sforzi delle istituzioni n modo sinergico per fare in modo che alcuni ritardi accumulati vengano rapidamente colmati”.
Intanto la Diocesi dell’Aquila sta progettando due nuove chiese periferiche, a Sant’Antonio e a Cansatessa, avranno il compito di attivare nuovi processi di aggregazione e di socialità, dimensioni tipiche del Cristianesimo, che va oltre la sua missione religiosa.