“L’anello mancante” è il libro di Barbara Bucci che regala ai lettori la sua esperienza di vita, esempio per tutti
L’esperienza della neo scrittrice abruzzese viene raccontata in modo efficace e coinvolgente nel volume pubblicato dalla casa editrice BookSprint Edizioni.
Barbara Bucci è tetraplegica a causa di una lesione spinale che ha subìto cadendo dall’altalena quando aveva 11 anni. Nonostante le difficoltà non si è mai persa d’animo e ha deciso di far conoscere la sua vita in maniera intensa, pronta a toccare i cuori nel profondo.
Dal 2013 fa parte delle Cure Girls, un gruppo internazionale di sette ragazze mielolese che organizzano eventi ed iniziative per raccogliere fondi a sostegno della ricerca scientifica, affinché la paralisi diventi curabile.
Il libro cattura l’attenzione attraverso il racconto di una quotidianità segnata dalla disabilità, non sempre facile da gestire. L’autrice non solo racconta la sua vita a partire dall’incidente ma, soprattutto, tramite la sua esperienza, regala la speranza e la voglia di avere una cura, esempio e forza per tanti altri nelle sue condizioni.
L’obiettivo è quello di promuovere la ricerca scientifica per trovare al più presto una cura. Da quando è caduta dall’altalena la vita di Barbara Bucci e quella delle persone a lei più care è stata totalmente stravolta. Nonostante ciò lei è riuscita a realizzare alcuni piccoli sogni e, soprattutto, a non perdere mai la speranza di poter recuperare l’uso delle braccia e delle mani.
Barbara Bucci vive a Giuliano Teatino, in provincia di Chieti. Nel 2003 si è brillantemente laureata in Lingue e Letterature Straniere e ha conseguito un master di I livello in Studi nordamericani. Fornisce consulenza a privati e ad aziende per traduzioni in lingua inglese e spagnola, nell’ambito del progetto emenda editing.
Nel volume l’autrice parla così della disabilità:
«Quando si parla di disabilità, le parole più usate sono “inclusione” e “barriere architettoniche”. Ultimamente, molte persone disabili, soprattutto attraverso i social, si impegnano a (di)mostrare che non sono né eroi né vittime, che vivono la propria vita facendo tutto quello che fanno i non-disabili, in modo diverso. Così, il messaggio che passa è che non esistono ostacoli invalicabili, che si può vivere appieno anche in una condizione con importanti limitazioni. Ma c’è anche chi racconta una storia “fuori dal coro”, comunque piena di voglia di fare, di sogni, idee e progetti, senza sbandierare lo slogan del “volere è potere”. Il vero potere è rappresentato dalla cura. Quella affettiva, fatta dalle persone che ruotano attorno al disabile: coloro che si fanno carico della quotidianità, quelli che permettono di assaporare una cena fuori, un viaggio, un’esperienza speciale; e quella medico-scientifica, possibile grazie agli studi, alla ricerca, alla fiducia. La paralisi non è la conseguenza peggiore di una lesione del midollo spinale, è solo quella che si vede. Ciò che non è visibile può rivelarsi ancora più invalidante dell’immobilità. Invalido e invalidante non sono termini offensivi, ma vengono rifiutati dal politicamente corretto che preferisce sostituirli con un lessico più possibilista e parlare di “diverse abilità”. Il vero problema di una disabilità motoria è quando essa comporta la dipendenza dagli altri per tutto e per tutta la vita. Perché si può essere disabili e indipendenti allo stesso tempo, compiendo passi importanti nella vita ».