Saracinesche abbassate e negozi chiusi è la brutta notizia che, da stamane, ha interessato i lavoratori di Mercatone Uno dopo che ieri, il Tribunale di Milano, ha decretato il fallimento della società, già in concordato preventivo.
Come per tutti gli altri punti vendita in Italia, attività lavorativa sospesa anche negli store di Scerne di Pineto, Colonnella e Sambuceto dove sono impiegate circa 100 persone. Tanta la rabbia dei dipendenti che si è sommata a quella dei clienti che si erano recati nei punti vendita per ritirare la merce acquistata nei giorni scorsi. Sul posto anche i sindacati per un presidio a sostegno dei lavoratori. Una situazione difficile che il prossimo 30 maggio sarà al centro di un tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico.
Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uuiltucs si sono attivate presso il Ministero dello Sviluppo economico “per avere un incontro in tempi brevi con l’Amministrazione straordinaria di Mercatone e con il curatore fallimentare di Shernon. È urgente ed indispensabile l’intervento del Mise per salvaguardare i lavoratori e preservare il futuro delle loro famiglie”. Lo fanno sapere le tre federazioni confederate in una nota congiunta.
“Dopo anni di incertezza – proseguono – Shernon aveva rappresentato il lumino nel quale tutti avevano riposto le loro speranze e la propria capacità di progettare un futuro. Il fallimento sembra aver reso nulli i sacrifici e gettato le maestranze in uno stato di profonda angoscia”. Pertanto i sindacati auspicano “un intervento tempestivo e garante”.
La decisione assunta il 23 maggio dal Tribunale di Milano “dimostra che le preoccupazioni delle tre sigle sindacali erano del tutto fondate e che, la situazione è molto più grave di quanto l’ad di Shernon abbia raccontato al Mise il 18 di aprile e ai lavoratori nei vari comunicati ad essi diretti”. I sindacati ripercorrono le tappe che hanno portato alla sentenza di fallimento. La Sharnon aveva acquisito lo scorso anno dalla ditta Mercatone in Amministrazione straordinaria 55 punti vendita, con l’obbligo assuntivo di oltre duemila lavoratori. “In realtà, sino a questo momento, la stessa era subentrata solo in 47 punti vendita con l’impiego di oltre 1800 risorse umane”.
“Già nei primi mesi dell’ingresso di Shernon – aggiungono – buona parte dei soci che avevano costituito la società ad hoc per l’acquisizione, sono fuoriusciti dall’asset societario, senza destare alcun allarme da parte dei commissari che erano preposti a sovrintendere le operazioni. Col passare del tempo, la mancanza di finanziamenti e di liquidità ha fatto sì che, già negli ultimi mesi del 2018, la merce nei magazzini, e di conseguenza nei negozi, cominciasse a scarseggiare”. A marzo 2019 “i punti vendita risultavano sprovvisti di merce e la stessa non veniva più consegnata sebbene già venduta e pagata dagli acquirenti. Nell’incontro tenutosi a marzo fra Filcams, Fisascat, Uiltucs e l’ad di Shernon, quest’ultimo preannunciava un’imminente capitalizzazione della Shernon e informava le rappresentanze sindacali in merito ad una non meglio precisata trattativa con potenziali investitori. La ricapitalizzazione annunciata doveva esser effettuata entro la fine di marzo e presupponeva un investimento pari a circa 20 milioni di euro, cifra che, da subito le organizzazioni di categoria hanno ritenuto assolutamente insufficiente a garantire la ripresa dell’azienda. A metà aprile, senza darne informazione alcuna, nemmeno al Mise, l’azienda ha presentato istanza di concordato preventivo presso il Tribunale di Milano”.
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