Pescara: ancora molti dubbi sulla morte di Dairon

La madre di Dairon, trovato senza vita a Pescara lo scorso mese di novembre, non crede all’ipotesi del suicidio e chiede che sia fatta chiarezza sulla vicenda

Una dinamica poco chiara e soprattutto una madre che non si arrende ad un destino stabilito forse troppo in fretta. Dairon, 20enne di origine cubana, è stato trovato senza vita, lo scorso novembre, nel retro di un locale in Piazza Muzii a Pescara, dove dormiva già di diversi mesi, con un cavo intorno al collo.

In apparenza sembra essersi trattato di un suicidio, ma a questo non vuole assolutamente credere sua madre Maylen (nella foto) e non ci crede, a quanto appare, nemmeno la Procura che, attraverso il coordinamento del sostituto procuratore Annamaria Benigni, sta svolgendo una serie di approfondimenti.

«Ci sono al momento sul tavolo tre perizie tecniche legate all’analisi del telefono cellulare di Dairon e dei Dvd delle telecamere di videosorveglianza –  spiega al microfono del collega Luca Pompei l’avvocato Vincenzo Di Censo – in più ad oggi ancora sappiamo nulla dell’esito dell’esame autoptico e questo ci fa ritenere che la Procura voglia andarci fino in fondo».

Dairon lavorava da diversi mesi in questo locale e dalla scorsa estate ci dormiva anche, un aspetto questo poco chiaro:

«Perché mio figlio dormiva lì? Perché non veniva pagato per il lavoro che faceva? – si chiede sua madre Maylen – sono stata io stessa a trovare il corpo di mio figlio, con un cavo intorno al collo, in una posizione che difficilmente fa pensare al gesto volontario ed inoltre conoscendo mio figlio, mai e poi mai si sarebbe tolto la vita anche se stava passando un periodo non facile».

Nessuna pista viene esclusa dalla Procura, dai problemi contrattuali con il datore di lavoro, ma anche a possibili sgarri legati al mondo della droga:

«Abbiamo dato mandato anche ad un investigatore privato – ci spiega l’avvocato Di Censo – non certo per metterci di traverso all’ottimo lavoro della Procura, ma anzi, li dove è possibile, per dare supporto perché ad oggi, dopo nove mesi, ancora sappiamo se si è trattato di suicidio, di istigazione al suicidio o addirittura di omicidio».

Gigliola Edmondo: