Quello che era stato raccontato a tutti come una aggressione a sfondo razziale, per la quale aveva ricevuto attestati di solidarietà da mezza Italia, in realtà è stato un atto di autolesionismo compiuto in un momento di sconforto.
E’ quanto emerge dalle indagini della polizia sull’episodio dello scorso 30 luglio che ha visto come protagonista il senegalese di 28 anni, Sadio Camara, ospite del centro di accoglienza di Pettorano sul Gizio e attivista dell’associazione Ubuntu. A riportare la notizia è il quotidiano regionale ‘Il Centro’. Lo stesso Camara, messo alle strette dalla polizia, ha ammesso di essersi procurato da solo la ferita alla gola per la quale poi era stato sottoposto a un lungo intervento chirurgico. All’epoca dei fatti Camara aveva raccontato alla polizia di essere stato aggredito da due persone, malmenato e accoltellato e poi gettato in un fosso, dove avrebbe passato la notte privo di sensi; sempre in base al racconto il giorno dopo avrebbe raggiunto la struttura di Pettorano dove era ospitato e da lì sarebbe stato accompagnato in ospedale a Sulmona. Viste le gravi condizioni i medici ne avevano deciso il trasferimento prima all’ospedale di Avezzano e poi a quello di Pescara, dove venne operato.
Il Meet Up Amici di Beppe Grillo Sulmona ha espresso “massima vicinanza umana” a Sadio Camara, il ragazzo che tempo fa era balzato alle cronache per un presunto atto razziale nei suoi confronti avvenuto a Sulmona.
“Esprimiamo vicinanza – si legge in una nota – come la esprimemmo nei giorni in cui avvenne il fatto, perché ci eravamo subito resi conto, andando direttamente nei luoghi dove era stato accolto Sadio, delle condizioni reali in cui viveva, segnale di un possibile disagio umano. Fu, purtroppo, un gesto di sconforto quello di Sadio, per sua stessa ammissione, come si evince dalle indagini risoltesi in queste ore. Una coltellata con la quale quasi si tolse la vita”. “Dunque il movente razziale non solo era falso, ma era stato strumentalizzato – si sottolinea nella nota – con atteggiamento assolutamente deprecabile, da alcuni esponenti politici, per fini che nulla hanno a che vedere con la vera comprensione della realtà sociale vissuta da Sadio e da chi, come lui, è costretto ad affrontare ostacoli spesso insormontabili”. “Vogliamo essere vicini a Sadio come fratelli e non soltanto come un paese che ospita uno straniero, abbandonandolo a sé stesso e gli saremo vicini cercando di capire come aiutarlo davvero, con l’ascolto, condividendo le sue sofferenze e facendole un po’ nostre, perché è questo l’unico modo di crescere e migliorare. Scambio e condivisione, per fargli sentire che anche un paese lontano può diventare la sua casa”.