Superstite di Rigopiano: “Io aggredito da Giancaterino”. La risposta di Giancaterino

Un superstite dell’hotel Rigopiano di Farindola (Pescara) ed il fratello di una delle vittime “offesi, minacciati di morte, aggrediti e malmenati” da uno degli indagati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Pescara sulla tragedia del resort .

A raccontarlo è Giampaolo Matrone, pasticciere di Monterotondo (Roma), che in quella tragedia ha riportato pesanti menomazioni ed ha perso la moglie Valentina. I fatti sarebbero avvenuti a Farindola il 14 maggio scorso, quando il Giro d’Italia è transitato nei pressi dei resti dell’hotel per rendere omaggio alle vittime. Gli aggrediti, secondo quanto riferito, sarebbero Matrone e Gianluca Tanda, presidente del comitato ‘Vittime di Rigopiano’. Autore dell’episodio sarebbe Massimiliano Giancaterino, ex sindaco del paese. Ora, dice Matrone,

“abbia il coraggio di raccontare come sono andati davvero i fatti e si assuma le sue responsabilità”.

Il pasticciere, che si è fatto medicare in pronto soccorso (prognosi di sei giorni) ed ha sporto querela ai Carabinieri, aggiunge:

“Abbiamo vissuto momenti di paura. Giancaterino, agente di polizia locale, ha in dotazione l’arma e il gruppetto che era con lui ci minacciava brandendo delle aste. Un’autentica aggressione ‘squadrista’”.

Quel giorno Matrone e Tanda, dopo essere stati a Rigopiano, in serata, si sono fermati a Farindola per incontrare, nella piazza del paese, la moglie di una delle vittime, Alessandro Giancaterino, e per conoscere suo figlio. Andati in un bar, racconta sempre Matrone – assistito da Studio 3A, società specializzata nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro – c’erano anche l’attuale sindaco, Ilario Lacchetta, e Massimiliano Giancaterino, fratello di Alessandro ed ex sindaco, entrambi tra i tanti indagati nell’inchiesta.

“Era visibilmente alterato – racconta Matrone – Mentre ero al bancone mi ha colpito da dietro sul gomito del braccio destro con il chiaro intento di provocare. Mi ha intimato di uscire dal bar e mi ha pure spinto via con la forza, sia me che Gianluca Tanda, apostrofandomi con parole scurrili. Altri avventori inveivano contro di noi e l’attuale sindaco Lacchetta non ha aperto bocca”.

Matrone, Tanda e la donna si sono quindi allontanati, ma Giancaterino ha scritto al presidente del comitato dicendo che

“non erano a casa loro e che non dovevano più comportarsi in quel modo”.

A quel punto i due sono tornati indietro per chiedere spiegazioni, ma l’ex sindaco per tutta risposta avrebbe reagito mettendo le mani in faccia al pasticciere e allontanandolo bruscamente, mentre  altre persone del posto avrebbero gridato ai due di andare via. Quando Tanda è intervenuto in aiuto di Matrone, che è invalido per le lesioni riportate nel crollo dell’hotel,

“Giancaterino – prosegue il pasticciere – mi ha dato una violenta spinta, mi ha messo la mano sul torace e mi ha scaraventato per terra”. I due si sono quindi allontanati, ma l’ex sindaco li avrebbe nuovamente raggiunti “e ha tentato ancora di colpirci con dei pugni”, schivati, mentre le persone che erano con Giancaterino li avrebbero fatti cadere per le scale. “Nella caduta ho riportato un brutto colpo al petto e, mentre ero steso a terra, Giancaterino mi ha pure assestato un calcio al volto. Quando Giancaterino viene portato via – prosegue Matrone – io e Tanda siano stati spinti e strattonati da numerose persone e che ci hanno fatto allontanare, lanciandoci dietro anche tre grossi vasi di fiori da un cortile che solo per miracolo siamo riusciti a schivare”. “Sono rimasto sconvolto da quanto è successo. Volevo tenerlo per me, ma ho deciso di denunciare tutto perché Giancaterino ha raccontato una versione dei fatti totalmente falsa: sappia che abbiamo testimoni. E anche il sindaco Lacchetta deve riferire la verità. Dall’ex sindaco non voglio le scuse, ma che abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di quello che fa fatto nei confronti dei familiari delle vittime di Rigopiano e del sottoscritto. Noi non ce l’abbiamo in alcun modo con i cittadini Farindola – conclude Matrone – Ce l’abbiamo solo con gli indagati: sono loro che tengono in ostaggio la comunità”.

Immediata la replica di Massimiliano Giancaterino al quale, per questa vicenda, sono stati refertati 7 giorni di prognosi, che ha spedito alle redazioni una lettera che pubblichiamo integralmente:

“In riferimento agli articoli di stampa pubblicati dalle Vostre testate riguardanti i fatti che, mio malgrado, mi hanno visto protagonista unitamente ai Sig.ri Tanta Gianluca e Matrone Giampolo, per rispetto delle Vittime di Rigopiano, della collettività di Farindola, della mia famiglia e, non ultimo, del ruolo che incarno in seno ad una Pubblica Amministrazione, mi corre l’obbligo morale esporre le mie considerazioni ai fini di ristabilire la verità dei fatti accaduti.  La sera del 14 maggio mi trovavo in piazza Mazzocca, seduto ad un tavolo a cenare con alcune coppie di amici durante una delle serate organizzate a contorno del passaggio del Giro d’Italia nella mia piccola cittadina. Erano presenti, insieme a me, almeno altre duecento persone almeno. Alzatomi per entrare al bar per prendere un caffè, durante il tragitto per tornare a tavola incontravo il Sindaco Ilario Lacchetta che salutavo cordialmente. Nel sedermi al mio tavolo, distante pochi metri, gli amici seduti con me mi facevano notare che insieme al Sindaco – o comunque nelle sue vicinanze, vi erano anche Tanda e Matrone. Avendo, quantomeno col Tanda, un rapporto civile (non conoscevo di persona il Matrone), decidevo di andare a salutarlo. Tornavo sui miei passi e rientravo al bar, ove trovavo i due, oltre a numerosi altri avventori. Porgevo, quindi, la mano al Tanda il quale me la stringeva. Vedendo il Matrone guardare altrove, lo toccavo amichevolmente su una spalla per richiamare la sua attenzione, per salutare anche lui.  Il Matrone si girava. Mi presentavo, dicendo che ero il fratello di Alessandro, morto sotto la Valanga. A queste parole lo stesso Matrone replicava con pesanti insulti (da ricondurre alla mia veste di indagato nella Tragedia) dicendo che comunque ci saremmo visti in Tribunale e, insieme al Tanda, usciva dal locale.  Sopreso da tale atteggiamento aggressivo e ingiustificabile, il sottoscritto, molto risentito, scriveva su Whatsup al Tanda le seguenti testuali parole: “Complimenti a te e al tuo amico, siete proprio bravi. Ci vediamo in tribunale. Siete grandi. Io vengo a salutarvi a casa mia e vengo trattato così. Va bene. Finisce ogni forma di dialogo da parte mia. Bravissimi”.  Non appena terminato di digitare, notavo che dal fondo della piazza facevano ritorno il Tanda e il Matrone, con atteggiamento minaccioso. Ero fermo poco distante dalla porta del bar, verso il centro della piazza. Il Tanda e il Matrone si avvicinavano minacciosamente: dapprima vomitavano su di me insulti di ogni genere, poi il primo mi assestava una manata violentissima in faccia, diversi spintoni e un colpo al collo; il secondo mi colpiva con dei calci ripetuti. Evitavo di reagire alla violenza subita, tenendo le mani a posto. Venivo sottratto alla furia dei due soltanto dall’intervento di tanti compaesani che mi trascinavano via letteralmente. Immediatamente dopo, volendo chiarire l’accaduto, seguivo i due lungo la scalinata che conduce alla Farmacia: alla mia richiesta di chiarimenti, per risposta ottenevo un’altra serie di colpi a viso e gambe. Anche in questa seconda occasione non alzavo un dito per colpire i due e venivo sottratto ai due dall’intervento di alcuni amici. A tutte le descritte fasi assistevano (allibiti) almeno duecento persone, presenti in quel momento in piazza per la festa. La mia etica professionale e l’onorabilità del Corpo di Polizia Municipale di cui faccio parte mi impongono un’altra considerazione: NON HO MAI MINACCIATO DI MORTE NESSUNO IN VITA MAI, tanto meno Tanda e Matrone; il solo paventare, da parte loro, l’uso della mia arma di ordinanza è malizioso assai e tende subdolamente ad insidiare il mio posto di lavoro. La mia arma, quando non sono in servizio, è custodita in luogo sicuro, smontata. Mai la porto con me al di fuori del servizio (non potrei) e men che meno mi sognerei di farne o minacciarne l’uso per motivi non attinenti alle mie qualità  di Ufficiale di Polizia Giudiziaria e di Agente di Pubblica Sicurezza.”

 

Luca Pompei: