Mentre la terra continua a tremare nel Centro Italia si analizzano i risvolti economici del terremoto.
Dopo la levata di scudi del Movimento 5 Stelle Grillini indignati contro Bruno Vespa e Graziano Del Rio per quanto accaduto in una puntata di Porta a Porta dove il conduttore televisivo e il ministro avrebbero descritto “il terremoto come volano dell’economia” si torna a discutere sugli effetti dei terremoti sulle casse dello Stato e sulle ricadute sui territori devastati dal sisma. L’esempio de L’Aquila è sotto gli occhi di tutti visto che a distanza di sette anni molto c’è ancora da fare per risollevare completamente la città devastata dal sisma del 6 aprile del 2009. Per il sisma del 24 agosto scorso il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza ed ha varato le prime misure di supporto ai territori colpiti, tra cui, a breve, il blocco delle tasse. E mentre il premier Matteo Renzi lancia il piano “Casa Italia” , un progetto che sia capace di affermare la cultura della prevenzione. Intanto c’è chi parla di 120 miliardi spesi in 50 anni in Italia per la ricostruzione post terremoto. Una penisola, ad alto rischio sismico e dissesto idrogeologico, che in mezzo secolo, ha dovuto fare i conti con numerose calamità naturali. Sono passati 8 anni e spesi 12 miliardi di euro su L’Aquila e dintorni per la ricostruzione: Un immenso patrimonio edilizio di 4.600 alloggi divisi in 185 edifici. Ancora oggi il Governo è affannosamente alla ricerca di recuperare gli edifici danneggiati dal terremoto a L’Aquila e nell’area del cratere; il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti qualche mese fa ha detto che nell’ultimo anno e mezzo ci sono stati passi avanti importanti: grazie ai 6 miliardi stanziati dalla legge di Stabilità 2015, che sono stati ben utilizzati, si ricomincia a vedere rinascere quei territori. C’è chi ritiene che si dovesse fare di più . C’è chi boccia il modello delle new town adottato dal Governo Berlusconi. In tanti si chiedono ora quanto ci vorrà per risollevare le sorti delle zone del Lazio e delle Marche. Ma la domanda sorge spontanea. Se quei fondi spesi in 50 anni fossero stati impiegati per la prevenzione oggi staremmo a piangere ancora i morti e a contare i danni?