A dieci anni dal sisma parla il titolare dell’Ufficio speciale del cratere Raffaello Fico e dice: “Gran parte dei ritardi colpa della carenza e dalla scarsa organizzazione del personale. Questa è oggi la mia priorità”.
Tracciare un quadro dello stato dell’arte della ricostruzione dei Comuni del cratere sismico. Una situazione estremamente complessa, in cui a dieci anni dal terremoto la domanda da porsi è sul destino dei piccoli Comuni che costellano l’Appennino aquilano e non solo (molti sono i paesi delle altre province colpiti dal sisma del 2009). Paesi che rischiano di restare indietro, paesi bellissimi e sicuri, ma luoghi fantasma, spopolati, senz’anima. “Una domanda da porsi è su chi ce la farà e chi non ce la farà”, commenta il nuovo titolare dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dei Comuni, Raffaello Fico. Il sisma ha cambiato il volto ai territori di montagna da un punto di vista sociale. Sono diversi ad esempio i paesi in cui le popolazioni, soprattutto i residenti più anziani, sono reticenti nel lasciare gli alloggi provvisori, più comodi, caldi, accessibili, con i servizi vicini, per tornare nelle loro abitazioni ricostruite, per quanto sicure.
Situazione complessa per la moltitudine dei Comuni che hanno necessità di portare avanti la ricostruzione. I 56 Comuni del cratere sono in una fase di consegna dei progetti e ripristino dell’agibilità delle abitazioni private a circa il 50%, escludendo le aree colpite dal 2016 avremmo una percentuale più alta, di circa il 70%. La consegna dei progetti è positiva, abbiamo il problema di ammettere a contributo i progetti, che non si trasformano quindi in cantieri.
Il problema principale è che il personale non è distribuito in modo omogeneo nei cosiddetti Utr (gli Uffici territoriali delle aree in cui è stato suddiviso il territorio) – spiega il titolare dell’Usrc – sono concentrati male rispetto alle giacenze dei progetti. Poi c’è il problema delle tardive risposte dei tecnici alle richieste d’integrazioni. Sto intervenendo andando a incidere sull’organizzazione e con modifiche, tramite decreti e circolari che mi consentiranno di distribuire meglio i carichi di lavoro.
A un problema oggettivo che riguarda la complessità del sistema da un punto di vista degli adempimenti burocratici, catastali, si aggiunge l’ostacolo di sempre: la concentrazione degli incarichi di progettazione nelle mani di pochi studi professionali, che determina la difficoltà di mettere a punto le integrazioni e consegnarle nei tempi richiesti.
Il peso economico delle pratiche in attesa di ammissione è di circa 930 milioni di euro (per 1.244 progetti), quasi un miliardo di euro, che restano fermi, congelati per vari motivi: sono quasi 321 milioni riguardano le pratiche in attesa di integrazione, su cui interverremo con un accordo che firmeremo a breve con gli ordini professionali. A questo si aggiungono i progetti che sono da esaminare (215 per un totale di 223 milioni), quindi c’è un problema di smaltimento delle procedure del passato e io sto iniziando a vedere le pratiche con il personale.
Un altro problema è portare avanti le pratiche degli Stati di avanzamento dei lavori per i cantieri che sono in corso, servirà un provvedimento, al quale sto lavorando con i sindaci, che alleggerirà il carico dei controlli che fanno i nostri uffici. Si potrebbe, in questo caso, fare come all’Aquila, dove si prevede una doppia procedura, dove i Sal sono visti dal Comune, mentre i nostri 56 dipendenti distribuiti nei vari Utr devono in contemporanea controllare sia i Sal sia le pratiche. Un ostacolo assolutamente da superare.
Una ricostruzione double face, con aree che procedono di più e altre che restano indietro. Al di là dl problema del doppio sisma, che rallenta le aree dell’Alta Valle dell’Aterno e nel Teramano, ci sono aree particolarmente “capaci”, dove forse la concentrazione delle pratiche è adeguata rispetto alla dotazione del personale e siamo al 60% di pratiche ammesse a contributo e di progetti che sono diventati cantieri o hanno già l’agibilità, rispetto ad altre aree che sono indietro e l’obiettivo dell’Usrc è di ridistribuire meglio e recuperare il gap – sottolinea Fico.
Un destino legato alla capacità dei Comuni di fare uno sforzo, dando un colpo di reni in questa seconda fase della ricostruzione.
Questo quasi miliardo di euro di progetti che mancano da approvare, dev’essere speso entro un anno e mezzo, per poter riportare l’agibilità nelle abitazioni che restano da recuperare e, infine, manca un altro importante lavoro da fare per recuperare le seconde case, una grande opportunità per il territorio. Alla ricostruzione materiale delle seconde case si devono aggiungere anche i fondi per lo sviluppo economico dei Comuni. L’Usrc con delle proprie squadre aiuterà i Comuni a rilanciare il loro sviluppo, soprattutto laddove la presenza delle seconde case è prevalente. Il rischio è, altrimenti, che dei bellissimi paesi resteranno disabitati.
Per quanto riguarda il personale, sono 56 i dipendenti degli Utr, sostenuti dall’Usrc,e su questo personale ci si dovrà concentrare maggiormente per redistribuire i carichi di lavoro e i Sal.