Sisma L’Aquila: il messaggio dell’Arcivescovo monsignor Giuseppe Petrocchi.
“La nostra gente e’ stata duramente colpita, ma non e’ stata sconfitta; ha sopportato il peso di un patibolo straziante ma non ha abbassato la testa. Testimonia, con fierezza e tenacia, che la vita, ancora una volta, ha la meglio sulla logica della disfatta e della morte”. Sono le parole dell’Arcivescovo de L’Aquila Giuseppe Petrocchi nel suo messaggio in occasione dell’ottavo anniversario del sisma che ha colpito la citta’ e coglie l’occasione per manifestare vicinanza alle popolazioni colpite dai piu’ recenti eventi.
“Non basta la rievocazione del dramma accaduto e delle 309 vittime”, ha detto l’alto prelato ricordando che “la ricorrenza odierna non si limita a ricordare un evento disastroso, lasciato definitivamente alle spalle, perche’ “le sequenze di scosse, che si sono susseguite dal 24 agosto 2016 fino a poche settimane fa, hanno riportato l’esperienza del terremoto di lacerante attualita’ e, in popolazioni-sorelle, a noi vicine, hanno provocato un’altra angosciante scia di morte”. L’arcivescovo ha rimarcato come “oltre a quelle ‘geologiche’ esistano anche ‘faglie’ psicologiche e sociali” che “a lungo andare, possono generare la ‘sindrome del terremoto’, che carica negativamente il sistema emotivo della gente e attiva reazioni eccessive e disadattanti”. Per questo, afferma, “e’ di vitale importanza mantenere viva, nella popolazione, la fiamma di una ‘fondata speranza’, poiche’, quando questa luce viene meno, l’orizzonte comunitario si annebbia e, inevitabilmente, si piomba nel buio di attese deluse e di promesse tradite. Va pure detto che, quando e’ sfidato da vicende drammatiche, il cuore umano e’ capace di manifestare risorse nascoste e sconosciute anche a chi le possedeva. Ognuno di noi ha ‘miniere di bene’, depositate negli strati profondi del suo cuore. E spesso i fatti che determinano ‘crepe’, nella struttura mentale e affettiva, fanno emergere queste ricchezze depositate nei sotterranei dell’anima. Talvolta, capita pure che ad essere portati in superficie siano filoni di ribellioni scomposte e di depressi cedimenti al destino. Gli eventi accaduti (e i ricordi che li accompagnano) vanno immersi nel dinamismo trasformante della Pasqua”, ha quindi sottolineato l’arcivescovo de L’Aquila, “perche’ non si traducano in patologie morali, ma siano imbevuti di eternita’ e restino custoditi nella vittoria di Gesu’ sul male e sulla morte”.