Prima udienza, questa mattina in Tribunale a Chieti, del processo per diffamazione e violazione della privacy che vede imputato il Dg dell’Università “Gabriele d’Annunzio” Filippo Del Vecchio. Un fiume di testi e prove.
Dopo la “sentenza” del Garante della Privacy ora i dipendenti della “d’Annunzio” di Chieti-Pescara che hanno denunciato il Dg Del Vecchio per diffamazione e violazione della privacy chiedono un’altro pronunciamento di condanna, quello di un’aula di Tribunale. Si aperto questa mattina a Chieti il processo penale a carico del Direttore Generale Filippo Del Vecchio nei cui confronti un esercito di avvocati ha prodotto liste lunghissime di testi e prove che dimostrino la condotta diffamatoria esercitata dal Dg con la nota vicenda della “mail dei 113″. L’udienza di questa mattina è servita, infatti, a verificare i testi e smistare le prove aggiornando il processo alle ore 11 del 10 aprile 2017: per quella data è stato disposto l’esame di 4 testi del pubblico ministero e di 12 delle parti civili, 12 testi dello Studio Legale Rustignoli di Lanciano che assiste 11 dipendenti della d’Annunzio e che è stato l’unico, tra gli altri legali, a presentare la lista dei testi una settimana fa circa. Tutti i querelanti sono stati ammessi alla costituzione di parte civile: questo significa che in caso di condanna otterranno tutti il risarcimento del danno arrecato dal Dg. Un passaggio significativo dell’udienza di questa mattina è quello che ci riferisce l’avvocato Rustignoli: ” Il giudice ha messo in evidenza che anche alla luce della sovrabbondanza di testi e prove il processo sarà documentale. Questo significa che grande peso è stato e verrà dato a quanto prodotto dei legali dei querelanti. Ciascun avvocato,poi, vorrà certamente dimostrare l’incalcolabile danno arrecato dalla condotta diffamatoria di Del Vecchio alla salute, all’onore, alla credibilità e alla professionalità dei propri assistiti ipotizzando sin da ora conseguenze in moltissimi casi davvero devastanti”.
Il commento del legale Rustignoli
E’ sempre l’avvocato Rustignoli, difensore di 11 querelanti, a dirci: ” Siamo di fronte ad un fatto veramente molto, ma molto grave. L’azione diffamatoria esercitata dal Dg della “d’Annunzio” è certamente arrivata all’attenzione di una platea vastissima e per questo indefinita per questo diventa incalcolabile il danno arrecato. I miei assistiti mi hanno raccontato di esser stati guardati da colleghi e gente comune come fossero ladri: chi potrà mai davvero risarcirli per questo?”. Un istante prima di salutarci l’avvocato Rustignoli ci dice di dipendenti della “d’Annunzio”che per il disonore sono finiti dallo psicanalista o peggio ancora hanno scatenato forme tumorali in cui è evidente la componente di stress.
La “condanna” del Garante per la Privacy
Prima di riepilogare per dovere di cronaca i fatti contestati, ricordiamo che sulla vicenda si è già pronunciato, con una severa condanna, il Garante della Privacy. Era il 1 agosto del 2015 quando, in un provvedimento articolato in ben 8 pagine, il Garante scriveva: “l’Università d’Annunzio ha sbagliato e violato la legge” imponendole “l’immediata rimozione dei dati sensibili violati pena le sanzioni amministrative previste dalla legge”.
I fatti contestati
Era il 6 ottobre del 2014 quando Filippo Del Vecchio inviava a 1090 persone, ossia all’intero corpo docenti nonché a tutti i tecnico amministrativi (praticamente a chiunque con la sola esclusione degli studenti e degli addetti alle pulizie) una email con un file allegato dal titolo ” Analisi utilizzo fondo accessorio 2001-2013″. Molto in sintesi, si elencavano nomi, cognomi e ruoli associati a cifre che lo stesso Del Vecchio bollava come ” pagamenti illecitamente percepiti nell’era napoleonica” facendo riferimento, appunto, a chi lo aveva preceduto sulla poltrona di Dg della d’Annunzio, Marco Napoleone, e alle sue presunte regalie. Appena dieci giorni più tardi, ossia il 16 ottobre, la stessa elencazione di dati (a dir poco sensibili) veniva pubblicata, o meglio fatta pubblicare dallo stesso Dg, anche sul sito della “d’Annunzio” alla voce “Amministrazione trasparente”. 90 giorni più tardi l’effetto boomerang di un gesto che fece gridare allo scandalo anche fuori dagli ambienti accademici: 53 dei 113 lo querelarono per diffamazione e violazione della privacy.