Un Abruzzese su tre fa acquisti on line: lo rivela uno studio di Confartigianato che ha analizzato le abitudini degli Italiani e il loro rapporto con il web nel 2017.
In Abruzzo nel 2017 il 30% della popolazione tra 16 e 74 anni ha ordinato beni o servizi online per uso privato: un dato che colloca la regione al 17° posto della classifica nazionale.
A riferirlo è Confartigianato Abruzzo, che ha elaborato i dati di un’indagine del centro studi della confederazione nazionale. Il 15,1% degli Abruzzesi, vale a dire 104 mila persone (18,8% in Italia), nel 2017 ha usato appositi siti web o app per smartphone per trovare un alloggio, contattando direttamente un privato. La percentuale scende al 3,6% (stessa media nazionale) per l’uso di siti web ed app per un servizio di trasporto, contattando direttamente un privato. Per truffe, frodi e delitti informatici, in Abruzzo i reati denunciati nel 2016 sono 255 (268 in Italia).
“Se il suggerimento agli utenti è di prestare attenzione, usando solo servizi e piattaforme affidabili, alle imprese rinnoviamo l’invito a percorrere la strada dell’innovazione”, afferma Confartigianato. “Lo sviluppo dell’economia digitale sta portando alla crescita di forme di economia collaborativa, la cosiddetta sharing economy, riferite a modelli imprenditoriali sviluppati attraverso piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. Se da un lato la sharing economy può fornire vantaggi ai consumatori (accesso a nuovi servizi, ampliamento della gamma di scelta di prodotti e servizi a prezzi più bassi, utilizzo più efficiente delle risorse contribuendo alla transizione verso l’economia circolare), dall’altro può rappresentare una minaccia per le imprese. In particolare si evidenzia la minore distinzione delle figure di consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, o la prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale; si assiste a una crescente incertezza sulle norme applicabili, con il rischio che si sfruttino le ‘zone grigie’ normative per aggirare le norme intese a tutelare l’interesse pubblico”.