Imu e piattaforme petrolifere, domani Pineto in Cassazione. Una sentenza c’è: è la numero 1292/7 del 24 novembre 2015, emanata dalla Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo, la quale decretò che la piattaforma petrolifera situata nel tratto di mare antistante Torino di Sangro è assoggettata ad ICI.
Il collegio abruzzese della CTR, nel pronunciarsi sull’argomento, aveva ribaltato la sentenza di primo grado, in cui il giudice affermava l’inesistenza di una norma in grado di giustificare il pagamento del tributo. La recente sentenza ha radici nel presupposto normativo risalente al 1992, anno in cui il Parlamento stabilì che i possessori di fabbricati siti nel territorio dello Stato fossero tenuti al pagamento ICI. E le piattaforme petrolifere, anche se poste in mare, hanno fondamenta ancorate al suolo ed emergenti in modo stabile davanti alla costa di questo o quel Comune, ente territoriale di riferimento ai cui poteri impositivi devono assoggettarsi. Inoltre, in base al trattato internazionale sul diritto del mare, gli Stati esercitano sulla porzione marina antistante la propria costa, fino ad una distanza di 12 miglia, una sovranità paragonabile a quella esercitata sul proprio territorio (salvi alcuni limiti, come il passaggio inoffensivo di navi di altra nazionalità). Sembra tutto molto ovvio, eppure non lo è, visto che le società petrolifere si guardano bene dal pagare ciò che dovrebbero, sulla base di un principio controverso e complesso che riguarda il territorio extra-demaniale, come il mare, quindi non accatastabile e non soggetto ad Imu. Eppure l’estate scorsa, per la prima volta, la Guardia di Finanza aveva contestato a Edison ed Eni di non aver versato l’Imu per l’enorme piattaforma al largo della costa siciliana di Pozzallo, parliamo di circa 30 milioni di euro. Forse i messi notificatori di Equitalia non sono dotati di gommone, fatto sta che i pagamenti sono in ritardo ovunque, anche in Abruzzo, tanto che dopo alcune sentenze controverse, alcuni Comuni si sono rivolti alla Corte di Cassazione, che affronterà la discussione domani, 11 febbraio 2016. Tra questi Comuni c’è anche il sindaco di Pineto, Robert Verrocchio, che segue la vicenda da vicino e che domani probabilmente sarà a Roma. L’elenco dei municipi appellanti, riportato anche in un’interrogazione parlamentare presentata nell’agosto 2015 dal Movimento 5 Stelle, vede anche Tortoreto e Torino di Sangro, oltre a Termoli, Gela, Porto Sant’Elpidio, Pedaso, Cupra Marittima e Falconara. Tutti, tranne Gela, sono situati sulla Costa Adriatica, fra Marche e Abruzzo, dove si trova la maggior parte delle piattaforme italiane. Il pronunciamento della Cassazione di domani è il primo di questo tipo e dovrebbe riguardare proprio il Comune di Pineto. Al tempo del ricorso, l’avvocato abruzzese Ferdinando D’Amario, che sollevò la questione per primo e che rappresenta tutti i Comuni, aveva affermato:
“Un giudizio favorevole a Pineto e Teramo potrebbe fare da apripista per tutti gli altri”.
La speranza per i Comuni ospitanti, alle prese con i tagli dello Stato e l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa, è appesa ad un pronunciamento positivo che induca le società petrolifere a saldare i conti. Sempre che non decidano prima di andarsene sbattendo la porta della piattaforma, ormai sempre meno remunerativa anche per le loro tasche, non solo per l’ambiente ospitante. Magari sarebbe sufficiente il pagamento degli arretrati Imu: se ciascuna delle 106 piattaforme dislocate nei mari italiani dovesse saldare, come ogni comune mortale, quella evasa negli ultimi cinque anni, in cassa entrerebbe qualcosa come 2 miliardi di euro. Un mare – meno nero – di soldi.