L’11 febbraio 1944, nove partigiani della banda “Palombaro” furono fucilati da paracadutisti tedeschi nei pressi della pineta di Pescara dove ora sorge una scuola che non dimentica.
I nove partigiani furono catturati a Chieti dai fascisti, rinchiusi, torturati e poi consegnati ai Tedeschi che, dopo un sommario e farsesco processo ne decretarono la condanna a morte. Nel luogo in cui i nove partigiani furono fucilati, oggi sorge una scuola elementare nel cui cortile, a pochi metri dall’edificio scolastico, vi è il cippo commemorativo. Ogni anno qui si svolge una cerimonia voluta dall’Amministrazione Comunale e dalla scuola stessa che prende il nome dalla data dell’eccidio “11 febbraio 1944”. Anche oggi i bambini delle quinte elementari, gli insegnanti, il sindaci di Pescara e Chieti tra le altre autorità, soprattutto i parenti delle vittime, si sono ritrovati per non dimenticare. Tutti giovanissimi, tra i 17 e i 30 anni, i partigiani furono fucilati, altri tre furono graziati dai Tedeschi, sì, ma per raccontare al mondo l’orrore di ciò che avevano visto.
Il video del Tg8:
Di seguito la nota dell’ANPI Ettore Troilo:
“Iddio ci perdonerà perché la nostra coscienza non è macchiata”; “Non una lacrima, sii forte, come sarò forte io di fronte a chi mi fucilerà. Morirò da innocente”; “La mia coscienza è tranquilla, non ho fatto nulla di male e tuttavia sono condannato a lasciare questa vita terrena”; “Io nella mia coscienza ritengo di essere innocente ma se Dio ha voluto così, sia lodato Gesù”; “Consegnerai questo biglietto a Carlo, mio fratello, che sia orgoglioso che suo fratello è stato fucilato, perché non è stato né un ladro né un traditore – ma un italiano e da tale è morto”. Sono soltanto alcuni passi delle ultime lettere dei nove partigiani della “Palombaro” fucilati a Pescara nelle prime ore del pomeriggio dell’11 febbraio 1944, ed in essi, quasi fosse un mantra, c’è un costante richiamo alla consapevolezza di morire per una causa giusta, che trascendeva la stessa vita terrena: ideali superiori quali la libertà e la dignità, principi che, successivamente inscritti nella nostra Carta costituzionale, aveva portato questi uomini a morire con la coscienza pulita, nella certezza di aver fatto la cosa giusta per le persone che amavano ed anche per quelle che sarebbero venute dopo di loro. Noi, gli italiani di oggi. Pietro Cappelletti, Nicola Cavorso, Massimo Di Matteo, Raffaele Di Natale, Stelio Falasca, Alfredo “Mario” e Aldo Grifone, Vittorio Mannelli, Aldo Sebastiani: nove uomini che scelsero la via della montagna e che decisero di imbracciare le armi contro una guerra promessa, perseguita e realizzata dal fascismo, che, lungi dal dispensare onore e gloria, stava riducendo l’Italia e l’Abruzzo in cumulo di macerie ed avrebbe contato migliaia di morti innocenti; nove uomini che sacrificarono la loro gioventù, le loro famiglie, le loro speranze, i loro progetti per un mondo diverso, che non fosse basato su una rigida gerarchia razziale e che non affondasse nel sopruso, nell’intolleranza, nell’inciviltà un intero Paese ed il suo popolo. Furono catturati a Chieti dai fascisti della famigerata banda Fioresi tra il 16 gennaio ed il 1° febbraio 1944, da essi torturati e successivamente consegnati ai tedeschi, che, dopo un sommario processo, li fucilarono: fascisti e nazisti, ambedue responsabili di tutto ciò che l’Europa, l’Italia, l’Abruzzo vivevano in quel periodo. A distanza di 73 anni, è ancora importante ricordare questo sacrificio perché in molti, oggi, sembrano aver smarrito la consapevolezza che la nostra libertà non ci è stata regalata da nessuno, ma è stata conquistata pagando un altissimo tributo di sangue: e che l’Italia stia vivendo un pericoloso “vuoto di memoria” lo dimostrano i fatti recenti, dalla delegittimazione delle Istituzioni e degli avversari politici, vissuti per lo più come nemici, alla gestione dell’emergenza migranti, che lentamente va trasformandosi nel migliore veicolo delle mai del tutto sopite pulsioni razziste che erano nel Dna del fascismo. Il sacrificio dei nove patrioti, che oggi ricordiamo, deve rappresentare, dunque, un monito per tutti (anche per coloro che verranno…) affinché nessuno si faccia affascinare di nuovo da ideologie folli, basate sul razzismo e sul disprezzo per tutto ciò che non è omologato nel pensiero dominante: deve raprpesentare, per dirla con altre e più semplici parole, un mezzo per riflettere costantemente e profondamente sul significato della libertà e della democrazia, che a loro volta implicano altri strardinari valori come il rispetto per gli altri e la tolleranza. Oggi, più che raccontare i fatti che condussero alla fucilazione dei nove partigiani, vorremmo che fossero chiari i perché della loro scelta. Pietro Cappelletti, Nicola Cavorso, Massimo Di Matteo, Raffaele Di Natale, Stelio Falasca, Alfredo “Mario” e Aldo Grifone, Vittorio Mannelli, Aldo Sebastiani ci hanno consegnato, perché ne avessimo cura e perché lo trasformassimo in realtà viva, il loro testamento: si tratta di un ideale albero nel quale il tronco, i rami e le radici rappresentano, rispettivamente, l’attuale Costituzione, l’organizzazione democratica dello Stato e la Memoria. Si tratta di un albero che è il frutto di una grande storia: la nostra.
Il Servizio del Tg8: