Il Covid non cancella la memoria. A Manoppello, uno dei centri più colpiti, il ricordo delle vittime della tragedia di Marcinelle. Al Bois du Cazier, la miniera di carbone a Charleroi, in Belgio, l’8 agosto del 1956 morirono 262 minatori, 136 italiani, 60 abruzzesi.
Uomini giovanissimi provenienti in gran parte da un agglomerato di paesi aggrappati alla Maiella: Manoppello, Lettomanoppello, Turrivalignani, Farindola. I nostri corregionali erano partiti da contesti di miseria, con il desiderio di cercare altrove condizioni di vita migliori per se stessi e per le proprie famiglie. I loro volti, le loro speranze, le loro storie di vita si sono dissipati nel fumo nero della miniera. Ma grazie al sacrificio di questi uomini, da allora le condizioni lavorative all’interno delle miniere che all’inizio erano disumane, migliorarono, anzi molte delle miniere vennero chiuse. Alle otto e dieci del mattino di quell’8 agosto del 1956, un addetto ai carrelli fa risalire nel momento sbagliato un montacarichi, che sbatte contro una trave metallica e va a squarciare un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa. Divampa un incendio che non lascia scampo, anche perché in quel complesso tutte le strutture sono ancora in legno, con un sistema di sicurezza fermo all’Ottocento. Non ci sono nemmeno le maschere con l’ossigeno e così quasi tutti moriranno soffocati dall’ossido di carbonio. Soltanto sei i superstiti. Alle 8 e mezzo una gigantesca nuvola nera si sprigiona dalla miniera di carbone del Bois du Cazier, a Marcinelle, nel comune di Charleroi in Belgio. Tra i 60 abruzzesi, 23 vittime provengono dalla sola Manoppello. Le operazioni di salvataggio dureranno due settimane, fuori dai cancelli i parenti di chi è rimasto sepolto per sempre giù nella miniera. Il 23 agosto, l’annuncio lapidario: “Sono tutti morti”. Gli ultimi minatori sono stati recuperati a 1.035 metri di profondità.
Oggi, in piazza Marcinelle, a Manoppello, si sono ritrovati autorità e cittadini. Il sindaco Giorgio De Luca, il Presidente della Regione Marco Marsilio, il senatore Luciano D’Alfonso. Foto, volti, storie come quella di Camilla che ha perso il padre a Marcinelle, nata lo stesso giorno in cui il corpo del genitore è stato trasferito dal Belgio nel centro Abruzzese. E c’è Lucia, una delle vedove di Marcinelle, per lei è come se la tragedia fosse oggi: “Il fumo nero, l’attesa, gli uomini che erano lì sotto.”
Il servizio del Tg8
Dal 1990 la miniera del Bois du Cazier è un monumento storico, un luogo della memoria. Nel 2001 è stata introdotta “La Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo” che ricorre, non a caso, ogni 8 agosto, anniversario di Marcinelle. Tra il 1945 e il 1950, il 45% dei maschi maggiorenni d’Italia sognava di espatriare. Si partiva a cuor leggero e con entusiasmo, allettati da quegli affascinanti manifesti rosa che tappezzavano tutte le città e cittadine della neonata Repubblica italiana: “Operai italiani! Condizioni particolarmente vantaggiose per il lavoro sotterraneo nelle miniere belghe”. Era il frutto dell’accordo siglato tra Roma e Bruxelles nel 1948, sulla falsariga perfetta di quello con la Germania nazista del 1937: braccia (duemila nuovi minatori italiani a settimana) in cambio di carbone (duecento chili per ogni nostro lavoratore). Solo che il carbone arrivò molto di rado a destinazione, e i minatori, tutti giovani tra i trenta o quarant’anni, vivevano e morivano in modo disumano. I parenti delle vittime e i responsabili delle diverse associazioni abruzzesi però, chiedono ancora di conoscere la verità e di appurare le responsabilità reali su ciò che accadde quel maledetto 8 agosto, a Marcinelle.