Pescara: don Dino Pirri presenta il suo libro nella Chiesa di San Pietro

Sabato 22 marzo, alle ore 19,00, nella Chiesa di San Pietro di Pescara, Don Dino Pirri presenterà il libro “La vocazione indecente. Osea, la prostituta e la Chiesa morente”

Dialogherà con l’autore il Direttore Artistico della Libreria San Paolo di Pescara, promotrice dell’evento, Antonio Di Giosafat. Dino Pirri è prete della diocesi di San Benedetto del Tronto e ha alle spalle una lunga esperienza pastorale. Già assistente nazionale dell’Azione cattolica ragazzi e assistente Agesci, dal 2014 al 2017 ha condotto, per TV2000, la trasmissione televisiva “Sulla strada”, in cui commentava il Vangelo della domenica. Ha pubblicato con AVE “Dalla sacrestia a Gerico“ e “Cinguettatelo sui tetti. Il vangelo di Marco su Twitter” e con Rizzoli “Lo strano caso del Buon Samaritano“. È autore del blog “Appunti di un pellegrino” e i suoi account social sono seguiti da oltre 40.000 persone.

“In Osea si parla di amore. Un amore tormentato, infedele, passionale, straziante e che, riferito a Dio che sceglie di identificarsi in Osea e nella sua vicenda, diventa uno spaccato impressionante sull’identità del Dio di Israele. Sì: Dio ama l’umanità anche (e quando) non viene corrisposto”. Così Paolo Curtaz, nella sua prefazione a questo libro, attraverso una lettura e interpretazione puntuale delle pagine del profeta Osea, ricorda ai credenti di oggi che il messaggio profetico riguarda ciascuno di noi e le nostre comunità. Osea sposa una prostituta, immagine dell’Israele che si è allontanato da Dio e, dice Dino Pirri, immagine di una Chiesa che rischia di morire proprio perché il suo respiro si è fatto distante dal richiamo del Vangelo: “Immagino tutti i figli della Chiesa, chiamati in giudizio da Dio. Non nel riserbo di un tribunale ecclesiastico, a porte chiuse, ma in diretta streaming. Davanti a tutto il mondo. I capi di accusa sono tre: la mancanza di affidabilità, la mancanza di compassione e la mancanza di conoscenza di Dio”. La speranza, per l’Israele di Osea e per la Chiesa di oggi, però, non viene meno: se ci convertiremo, se accetteremo di tornare nel deserto lasciando che Dio ci parli “cuore a cuore”, potremo nuovamente essere chiamati da Lui “mio popolo”. La domanda è: lo vogliamo davvero?