Lo Stato rivuole i soldi dei risarcimenti ai familiari delle vittime del sisma dell’Aquila del 2009, non si smorzano le polemiche. Arriva il sostegno ai congiunti dei morti del terremoto, dai parenti della sciagura di Rigopiano.
In riferimento a quanto sta accadendo ai famigliari delle vittime del sisma dell’Aquila del 6 aprile 2009, il “Comitato Vittime di Rigopiano” “esprime la piena solidarietà e il pieno sostegno” a quei famigliari con una nota diffusa nel pomeriggio di ieri. “Anche loro, come noi – si legge – sono vittime di uno Stato assente, insensibile e cieco nei confronti di quelle famiglie che si sono viste privare già degli affetti dei propri cari, e adesso si vedono chiamate a restituire quell’ormai piccola e insignificante consolazione che hanno ricevuto. Insieme a loro, siamo profondamente indignati per quanto uno Stato sia in grado di abbandonare coloro che sono vittime dell’incompetenza dello Stato stesso”.
Nel marzo 2015 la Protezione civile nazionale richiese ai familiari di alcune vittime del terremoto che devastò L’Aquila il 6 aprile 2009, costituitisi parte civile, la restituzione di parte delle somme risarcitorie “provvisionali” decise dal giudice con la condanna in primo grado dei componenti della Commissione Grandi rischi. Era la conseguenza del verdetto in Appello, datato 10 novembre 2014, che riformò la sentenza del 22 ottobre 2012 cancellando la condanna per sei esperti della Grandi Rischi e riducendo la pena per De Bernardinis, vice capo dipartimento Protezione civile all’epoca del sisma. Verdetto poi confermato in Cassazione il 20 novembre 2015. “Si invita e si diffida – recitava l’atto – alla restituzione delle somme percepite e a corrispondere senza indugio, entro 30 giorni dal ricevimento della presente”. I legali difensori delle famiglie, negli anni, hanno risposto con analoga istanza, chiedendo il risarcimento totale del danno, visto che la provvisionale è al massimo del 40%, con la minaccia di agire civilmente qualora lo Stato non ottemperasse. Dal canto suo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, vista la mancata risposta alla diffida, che aveva valore di messa in mora, e a successivi solleciti, si è rivolta al Tribunale dell’Aquila per recuperare le somme. Ad alcuni familiari sono quindi arrivate in questi giorni citazioni in giudizio per le quali sono già state fissate le udienze. Complessivamente sono circa 2,5 i milioni richiesti alle famiglie che avevano incassato la provvisionale. Alle reazioni polemiche scaturite il 28 marzo 2015 con la richiesta alle famiglie seguì subito una nota della Protezione civile: “Lo Stato non sta battendo cassa, ma semplicemente applicando la sentenza rispettando i tempi indicati”. E l’allora capo Dipartimento Franco Gabrielli – che fu prefetto dell’Aquila durante l’emergenza sisma nel 2009 – commentò, lo stesso 28 marzo: “Ogni azione è stata intrapresa sulla base del conforme parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, alla quale dubito si possano insegnare le argomentazioni giuridiche”. I solleciti della Presidenza del Consiglio successivi alla prima messa in mora del marzo 2015 sono stati inviati anche di recente attraverso la Protezione Civile ora guidata da Fabrizio Curcio.
“Non solo i familiari delle vittime non devono restituire le provvisionali allo Stato, ma a nostro avviso la Presidenza del Consiglio deve riconoscere l’intero risarcimento dei danni stabilito dai giudici di primo grado. E ci batteremo per questo”. A parlare è l’avvocato Wania Della Vigna, con il marito Guido Felice De Luca legale dei parenti di alcune vittime nel terremoto che devastò L’Aquila il 6 aprile 2009. Come altri legali, hanno risposto alla messa in mora da parte dello Stato con analoga istanza, per richiedere l’intero risarcimento. Si annuncia serrata la battaglia legale a livello civile, innescata dalla Presidenza del Consiglio che ha citato in giudizio i parenti delle vittime per ottenere la restituzione delle provvisionali, versate dopo la sentenza di primo grado di condanna della Commissione Grandi Rischi, alla luce del pronunciamento in Appello – poi confermato in Cassazione – che ribaltò la sentenza assolvendo 6 dei 7 esperti della Commissione, ad eccezione dell’allora vice capo della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis. I sette, protagonisti della riunione della Grandi Rischi all’Aquila del 31 marzo 2009 – cinque giorni prima del sisma che causò 309 morti – erano accusati di aver sottovalutato il rischio sismico e di aver rassicurato gli aquilani. “Dove non c’è stato un reato non è detto non ci sia danno civile” aggiunge Della Vigna ricordando che proprio la Presidenza del consiglio, dopo il primo grado, chiamò le famiglie per versare le provvisionali. Tra i punti di opposizione citati nella messa in mora, spiega l’avvocato, si richiama un principio della Cassazione in base al quale “il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato”. A intervenire sulla vicenda viene sollecitato il presidente del Consiglio. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, è accanto ai familiari e contro il Governo: “Assurdo. Oltre al danno di non mettere mai un euro per la prevenzione pure la beffa degli schiaffi in faccia quando i disastri capitano. E’ ora che Gentiloni intervenga e trovi una soluzione”. E il deputato abruzzese Gianni Melilla (Mdp) con un’interrogazione chiede a Gentiloni “se non ritenga doveroso sospendere le richieste di restituzione delle somme versate” “per evidenti ragioni istituzionali, di ragionevolezza e anche di umanità nei confronti di persone duramente colpite dalla morte dei loro cari”.