Agli automobilisti sorpresi alla guida sotto probabile effetto di sostanze stupefacenti chiedeva soldi per consegnare provette di sangue “pulito” alle forze dell’ordine a seguito dei controlli stradali: questo il capo d’imputazione della Procura a carico di un infermiere dell’ospedale di Giulianova, rinviato a giudizio.
L’infermiere, sospeso dal servizio, è comparso davanti al gup Roberto Veneziano che al termine dell’udienza preliminare lo ha rinviato a giudizio: il processo a suo carico si aprirà il 20 settembre, mentre è stata respinta la richiesta di patteggiamento di un automobilista teramano che all’epoca avrebbe usufruito del servizio reso dall’infermiere, per il quale è stata fissata una nuova udienza. A entrambi gli imputati la Procura contesta il concorso in corruzione, con l’infermiere che deve rispondere anche dei reati di favoreggiamento e tentato falso indotto.
Le indagini a carico dell’infermiere erano state avviate nel maggio del 2016 dagli agenti della polizia stradale di Giulianova ed erano partite dopo un controllo effettuato sull’automobilista indagato, risultato poi positivo alla cocaina e sottoposto al successivo prelievo ematico presso l’ospedale civile di Giulianova.
A insospettire gli agenti erano state alcune voci che riferivano di come l’automobilista in questione si vantasse di essere riuscito a sfuggire ai controlli: da qui l’avvio di tutta una serie di indagini, condotte anche con l’ausilio delle intercettazioni telefoniche, che avevano fatto emergere forti sospetti su uno scambio di provette. In particolare, da quanto sarebbe emerso, l’infermiere, dopo aver convinto con una scusa un amico dell’automobilista fermato a farsi effettuare un prelievo ematico, avrebbe scambiato la provetta contenente il sangue di quest’ultimo, che era ‘pulito’, con quello dell’automobilista. Lo scambio è stato confermato dopo il sequestro delle provette, disposto dall’autorità giudiziaria, e l’effettuazione di un tampone salivare per il confronto con i campioni di sangue prelevati.
Le successive indagini avrebbero permesso di identificare con certezza l’infermiere coinvolto e di escludere che l’amico dell’automobilista fosse a conoscenza di come sarebbe stato utilizzato il suo sangue.