Dieci anni dopo le vicende di Sanitopoli che interessarono l’Abruzzo, l’ex procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi dice: “Non era né un tentativo di rovesciare le istituzioni né un fatto personale nei confronti di qualche indagato”.
Sono ormai passati dieci anni dagli arresti nell’ambito dell’inchiesta sulla Sanitopoli abruzzese, di cui Nicola Trifuoggi era titolare insieme ai sostituti Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli, che il 14 luglio del 2008 portò all’arresto dell’allora presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, e con lui assessori, ex assessori, consiglieri regionali e funzionari.
A distanza di dieci anni l’ex procuratore capo Trifuoggi dichiara che rifarebbe “tutto alla stessa maniera, magari cambiando qualche particolare. Alla fine quello che non si capì al momento e che credo sia emerso dopo, è che prima il lavoro della guardia di finanza, che svolse in autonomia le prime indagini, e poi il lavoro portato avanti dalla Procura, era semplicemente un lavoro”.
Dieci anni dopo, in merito alla mobilitazione dell’epoca per i 28 giorni trascorsi in carcere da Del Turco, Trifuoggi parla di una mobilitazione che “fa parte delle regole. Io sono convinto che molte di queste manifestazioni di solidarietà, nell’immediato, fossero dipese dalla scarsa o nulla conoscenza dei fatti e degli atti del processo, altrimenti non credo che ci sarebbero state”.
Il 27 settembre scorso la corte d’appello di Perugia, su rinvio della cassazione, ha emesso una sentenza nella quale si conferma la sussistenza degli episodi di corruzione, mentre si nega l’ipotesi dell’associazione a delinquere.
“Quello che conta è ciò che è emerso alla fine”, osserva Trifuoggi. “Molti degli imputati sono stati condannati, anche a pene severe, altri se la sono cavata per prescrizione, grazie alle lungaggini della nostra giustizia. La corte d’appello di Perugia ha ritenuto che l’associazione per delinquere non ci fosse”. Ma, conclude Trifuoggi, “non era l’associazione il reato più grave, anche se scenograficamente può sembrare un reato gravissimo, che però a livello di pena, rispetto agli altri reati al centro delle condanne, non lo è”.