Legambiente: in Abruzzo solo il 20% della costa è spiaggia libera

Il dossier elaborato da Legambiente parla chiaro: il 60% delle coste italiane è occupato dagli stabilimenti balneari, mentre solo una minima parte – il 20% in Abruzzo – è lasciato alla libera fruizione della spiaggia.

Il dossierSarà che la conformazione della Penisola la rende esageratamente appetibile, attaccata all’Europa solo “per i capelli” e con il mare tutt’intorno, sarà che i mestieri legati al mare dalle nostre parti sono tradizione antica, sarà pure una rete di controlli a maglia larga e qualche speculazione di troppo, fatto sta che in Italia, oltre il 60% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari. A documentarlo è il dossier di Legambiente, corredato da numeri e informazioni che aiutano a farsi un idea del “consumo di sabbia” nel Belpaese. In tutta Italia sono 52.619 le concessioni demaniali marittime, e sono in continuo aumento. Le poche spiagge libere si trovano spesso vicino a foci di fiumi o su tratti di costa dove la balneazione è vietata. Come dire, oltre al danno, la beffa.

“Serve una legge quadro nazionale per tutelare gli arenili italiani e i diritti di tutti i cittadini ad avere lidi liberi, gratuiti e accessibili, – si legge nella nota diffusa da Legambiente – In Italia nonostante gli ottomila chilometri di costa tra la Penisola, le due isole maggiori e le oltre 800 isole minori, ogni estate trovare una spiaggia libera è davvero un’impresa. E le poche che ci sono sono ubicate in porzioni di costa di serie B, vicino alle foci di fiumi, fossi o fognature e quindi dove la balneazione è vietata. Lo dimostra il nostro dossier “Le spiagge sono di tutti!”, con cui abbiamo voluto denunciare il fenomeno della privatizzazione delle coste italiane, delle concessioni senza controlli e dei canoni bassissimi a fronte di guadagni enormi per gli stabilimenti e di un misero introito per lo Stato (nel 2016 ha incassato poco più di 103 milioni di euro). Nella Penisola sono ben 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 27.335, sono per uso turistico ricreativo e le altre distribuite su vari utilizzi, da pesca e acquacoltura a diporto e produttivo (dati del MIT). Si tratta di 19,2 milioni di metri quadri di spiagge sottratti alla libera fruizione. Se si considera un dato medio (sottostimato) di 100 metri lineari per ognuna delle 27mila concessioni esistenti, si può stimare che oltre il 60% delle coste sabbiose in Italia è occupato da stabilimenti balneari. In alcuni Comuni si arriva al 90% di spiagge occupate da concessioni balneari. Ad esempio in Emilia-Romagna solo il 23% della costa presenta spiagge libere, e in Liguria il 14%, ma i dati sono molto differenti tra le regioni e nessun Ministero si occupa di monitorare quanto sta avvenendo”.

 

Legambiente fa notare che, ad oggi, manca un provvedimento che fissi quale quota di spiaggia debba essere mantenuta libera per l’accesso di tutti, proprio questa assenza normativa ha portato alcune Regioni ad intervenire, con risultati a volte buoni a volte insufficienti. Tra i casi virtuosi spiccano la Puglia, la Sardegna e il Lazio. In Puglia con la Legge regionale 17/2006 ha fissato una percentuale di spiagge libere maggiore (60%) rispetto a quelle da poter dare in concessione (40%). La Sardegna ha approvato delle “Linee guida per la predisposizione del Piano di utilizzo dei litorali” che definisce criteri in relazione alla natura e alla morfologia della spiaggia e stabiliscono un minimo del 60% di spiaggia libera, che nei litorali integri deve raggiungere l’80%. Il Lazio ha fissato al 50% la percentuale di costa da lasciare libera ed i Comuni non in regola non potranno più rilasciare nuove concessioni. Tra le situazioni negative citate nel dossier c’è l’Emilia-Romagna, che nel 2002 ha imposto un limite minimo del 20% della linea di costa per le spiagge libere, ma la Legge viene rispettata solo nei pochi tratti dominati da dune e zone umide. Le percentuali rimangono comunque molto basse anche in Molise e Calabria (la quota è del 30%), nelle Marche (25%), in Campania e Abruzzo, dove il limite minimo di spiagge libere è appena del 20%. In 5 Regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto) non esiste invece nessuna norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle spiagge libere o libere attrezzate.

 

“Ormai è sotto gli occhi di tutti – spiega Edoardo Zanchini, Vicepresidente nazionale di Legambiente – la distesa interminabile di stabilimenti balneari che, dal Tirreno all’Adriatico passando per lo Jonio, costellano le coste della nostra Penisola. In modo progressivo cabine e strutture, ristoranti, centri benessere e discoteche stanno occupando larghe fette della battigia. Inoltre il numero delle concessioni cresce, i canoni che si pagano sono molto bassi, e nessuno controlla come questo processo sta andando avanti. Il rischio è che si continui in una corsa a occupare ogni metro delle spiagge italiane con stabilimenti che, in assenza di controlli come avvenuto fino ad oggi, di fatto rendono le coste italiane delle coste privatizzate quando invece le spiagge sono di tutti. Per questo chiediamo l’istituzione di una legge nazionale che preveda, tra i vari punti, che almeno il 60% delle spiagge venga lasciato alla libera fruizione e che vengano definiti canoni adeguati e risorse da utilizzare per la riqualificazione ambientale”.

 

Nel report si Legambiente che, nel 2009, l’UE ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia: è la famosa e tanto contestata (dai balneatori) Diterritva Bolkestein, che prevede la messa a gara delle concessioni aprendo la competizione anche agli operatori di altri Paesi dell’Ue ai fini della partecipazione ai bandi pubblici per l’assegnazione. L’Italia, ignorando i moniti UE, ha disposto la proroga automatica delle concessioni fino al 31 dicembre 2020. Ma la Corte di Giustizia UE l’ha bocciata con una sentenza del luglio del 2016.

Il dossier di Legambiente traccia anche una panoramica sugli altri Paesi:

” Negli altri Paesi europei i principali temi – spiagge da garantire alla libera fruizione, canoni di concessione e criteri di assegnazione, controlli – sono affrontati in modo coerente e su obiettivi trasparenti di tutela delle aree costiere, di garanzia di una libera fruizione, di regole trasparenti per le assegnazioni in concessione. Ad esempio in Francia la durata delle concessioni per le spiagge non supera i 12 anni e soprattutto l’80% della lunghezza e l’80% della superficie dei lidi devono essere liberi da costruzioni per sei mesi l’anno: gli stabilimenti vanno quindi rigorosamente montati e poi smontati.

In Spagna la gara pubblica per le concessioni non è resa obbligatoria dalle norme vigenti, ma risulta difficile trovare esperienze di Comunità Autonome che le rilascino per via diretta. La proroga delle concessioni esistenti è soggetta a un rapporto ambientale che indichi gli effetti dell’occupazione sull’ambiente ed espliciti le condizioni per garantire la protezione del demanio pubblico marittimo e terrestre. Ci sono poi casi come Formentera, uno dei luoghi più conosciuti e turistici del territorio iberico, dove le concessioni sono rinnovate ogni 4 anni e sempre con il sistema delle aste pubbliche. Un sistema che ha favorito l’imprenditoria locale, salvaguardando l’isola dalle speculazioni.

La Croazia, tra i vari interventi che ha messo in atto, ha previsto anche il divieto di costruire qualsiasi opera (dai chioschi ai ristoranti) per una distanza minima di 1 km stabilendo una continua ed unica “Area protetta costiera” di alto valore naturale, culturale e storico. Tra i principi espressi dalla normativa croata si sottolinea l’importanza della libera accessibilità alla costa e della conservazione delle isole disabitate senza possibilità di costruire. Le costruzioni esistenti che si trovano nella fascia a 100 metri dalla costa non possono in nessun modo essere ampliate, mentre per le nuove costruzioni vige il divieto di realizzarne entro una zona distante 1.000 metri dalla costa”.

Il dossier di Legambiente è completato anche da una serie di proposte:

1) Almeno il 60% delle spiagge da lasciare alla libera fruizione.

2) Premiare la qualità nelle assegnazioni in concessione. E’ importante che la Legge introduca una convenzione nazionale tipo che fissi criteri e obiettivi da rispettare, legati a posti di lavoro creati, accessibilità, pulizia, tutela e innovazione ambientale (raccolta differenziata, utilizzo di fonti rinnovabili, demolizione di strutture abusive, utilizzo di materiali naturali e di riciclo, prodotti del territorio, ecc.).

3) Canoni adeguati e risorse da utilizzare per la riqualificazione ambientale. Occorre stabilire un canone minimo nazionale che livelli le disparità attuali. Chiediamo anche che che la quota maggiore del canone rimanga ai Comuni, con vincolo di destinazione per interventi di riqualificazione e valorizzazione ambientale dell’area costiera (ripascimenti anti erosione, demolizione di edifici abusivi, rinaturalizzazione, accessibilità pedonale e ciclabile, ecc.).

4) Garantire controlli e legalità lungo la costa. La nuova Legge deve chiarire responsabilità di controllo, sanzioni efficaci e trasparenza sulle assegnazioni. Tutte le convenzioni e i piani di utilizzo del demanio devono essere resi disponibili su un portale nazionale delle coste che dovrà
essere istituito da parte del Ministero dell’ambiente. Una prospettiva di questo tipo premia le imprese serie e offre garanzie a chi investe nella qualità e alle tante imprese che gestiscono seriamente gli stabilimenti balneari.

Marina Moretti: