Anche all’Università d’Annunzio di Chieti, come nelle altre sedi universitarie italiane, è il giorno dei test di ingresso alle facoltà di Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria: visti i pochi posti a disposizione, per gli aspiranti studenti è come partecipare ad una lotteria.
Paradossale, come spesso sanno esserlo le vicende italiane: mentre da Nord a Sud si ode un grido d’allarme sulla penuria di medici, parte la lotteria dei test di ingresso alle facoltà. Pochi usciranno vincitori, molti resteranno al palo. E di quei pochi che passeranno il test – per merito sì, ma come potrebbero farlo tanti altri per i quali invece non c’è più posto – solo qualcuno potrà accedere alle borse di studio per la specialistica, pure quelle in numero drasticamente inferiore al reale fabbisogno.
Nel giorno in cui gli studenti sono chiamati a giocarsi il futuro in una specie di terno al lotto, ci si chiede se davvero l’Italia abbia ancora bisogno di una facoltà a numero chiuso, o se magari non sia meglio affidarsi ad una sorta di selezione naturale: se studi vai avanti, sennò ti fermi. A Chieti si è dichiarato contrario al numero chiuso anche il rettore dell’Università Gabriele d’Annunzio, Sergio Caputi, critico anche verso la tipologia dei test d’ingresso. Ma allora, perché la lotteria dei test continua? Sia chiaro: non è che perché ci sono troppi medici, è che il Sistema Sanitario Nazionale non è in grado di programmare e gestire l’ingresso delle nuove leve e soprattutto che gli ordini professionali non le accoglierebbero affatto con entusiasmo, tanto per usare un eufemismo. E mentre il Paese discute, con scarso interesse e molta cecità, loro intanto, ci provano: all’Università d’Annunzio di Chieti gli aspiranti medici chirurghi sono 1.161, ma i posti a disposizione per diventarlo sono solo 222. Chi invece sceglie Odontoiatria ha qualche chance in più di staccare il biglietto, 145 domande per 60 posti. Agli altri, quelli che avranno dimenticato anche solo un briciolo di quanto richiesto dai test, non restano che tre opzioni: riprovarci l’anno prossimo, cambiare indirizzo di studio o… tentare di iscriversi all’estero, per esempio in Spagna, mettendo in fuga il proprio cervello prima ancora che sia completamente formato. Complimenti Italia.
LE PREVISIONI
Nel 2028, secondo una stima del sindacato dei medici dirigenti Anaao, oltre 47.000 specialisti andranno in pensione, senza contare che anche oggi i nuovi ingressi in corsia non bastano a colmare i vuoti di chi ha lasciato la professione. All’inizio dell’anno è stato previsto che nel 2018 saranno 2.459 i futuri medici “persi”, poiché l’offerta di 6.200 borse di studio non è sufficiente al fabbisogno nazionale di 8.569 nuove unità, calcolato dalle Regioni per garantire il funzionamento del sistema sanitario.
Tra le categorie di medici sempre più introvabili ci sono soprattutto anestesisti e ginecologi, questi ultimi evidente mente poco apprezzati da un’Italia sempre meno prolifica. I bandi delle regioni del Nord vanno deserti perché non ci sono abbastanza specializzati, e le regioni del Sud non ne assumono a causa dei piani di rientro dai deficit del passato. Secondo Elsa Viora, che dirige l’Associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi): “Entro i prossimi dieci anni andranno in pensione 5.000 ginecologi, ma solo la metà verranno sostituiti”. Un combinato disposto micidiale, che metterebbe a rischio anche i punti nascita con più di 500 parti l’anno, considerato il numero minimo per garantire gli standard operativi di sicurezza.
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