La pratica per la richiesta del porto d’armai da parte di Fausto Filippone “non era stata portata a termine ma ai test era risultato privo di sintomatologia”.
Lo precisa il direttore del dipartimento salute mentale della Asl Lanciano-Vasto-Chieti, Massimo Di Giannantonio, il mediatore che ha parlato con Filippone su quel viadotto della A14 da dove, domenica scorsa, prima aveva gettato la figlia, Ludovica di 10 anni, e da dove poi si è suicidato. La richiesta del porto d’armi non è stata “neppure inoltrata alla prefettura” e dunque è stata “senza alcun tipo di esito”. Fausto Filippone non possedeva di fatto un porto d’armi. Lui era però risultato idoneo ai test. La richiesta era per un porto d’armi ad uso sportivo. “Ha avuto questo certificato – riferisce lo psichiatra – ma la pratica non era stata portata a termine”. “Ai test finali è stato perfetto, in ogni risposta: senza ansietà, o tono di cambio di umore, senza mostrare alcuna segnale di paranoie o disturbi”, afferma Di Giannantonio.
“Per ottenere un porto d’armi innanzi tutto il medico di famiglia deve certificare lo stato di salute fisica e mentale degli ultimi 15 anni del richiedente. Va certificato lo stato relativo all’assoluta mancanza di patologie, disagio psichico, assunzione di farmaci, somministrazione di medicine che avessero a che fare con disturbi del comportamento per avere la certezza – dice Di Giannantonio – che il soggetto non abbia problemi psicotici, o ricoveri per stati ansiosi, non soffra di insonnia o non abbia problemi di comportamenti alimentari”. “Per una persona come Filippone negli ultimi mesi – spiega l’esperto – era obbligatorio offrire un’immagine di una persona lucida”. “C’è una malattia psichiatrica gravissima che si chiama paranoia – conclude Di Giannantonio – che fa percepire il mondo come estremamente aggressivo e quindi va tutto distrutto perché tutti sono nemici”.