Proseguono le indagini sull’assassinio dell’imprenditore di Tortoreto, c’è un precedente inquietante nella sua famiglia ma non c’è un nesso tra le tristi vicende: un suo parente uccise una prostituta.
C’è un precedente inquietante nella famiglia di Demetrio Di Silvestre, il 56 enne imprenditore di Tortoreto, i cui resti bruciati sono stati ritrovati il 16 novembre al Monte dell’Ascensione ad Ascoli Piceno, il giorno dopo che la moglie ne aveva denunciato la scomparsa. Recentemente è uscito dal carcere un cugino che circa venti anni fa uccise una prostituta con 30 coltellate. La circostanza è emersa durante le indagini coordinate dalla Procura di Ascoli Piceno anche se al momento non vi sarebbe alcun collegamento fra i due casi.
Non ha dato risultati sperati la perquisizione effettuata nei giorni scorsi in un casolare nel Comune di Ripatransone: non vi sono elementi per dire che Di Silvestre è stato ucciso lì ed è imminente il dissequestro dell’area. C’erano tracce di fuoco molto vecchie e un paio di guanti pieni di ragnatele: impossibile che siano stati utilizzati per l’omicidio. Non è lì – secondo gli investigatori – che il piccolo imprenditore edile è stato ucciso. Non giungono buone notizie neanche dai Ris di Roma che hanno analizzato a fondo la Bmw di Di Silvestre. Non sarebbero state rilevate impronte o tracce di dna utili per capire chi l’ha guidata nel percorso dall’Ascensione al parcheggio di Porto Sant’Elpidio dove è stata ritrovata. Si attendono ulteriori dati dal gps dell’impianto antifurto satellitare che ha già indicato molte cose riguardo gli spostamenti della vettura tra il 15 e il 16 novembre.
Si continua a vagliare la vita privata della vittima, sul lavoro che svolgeva insieme al figlio per cercare di capire se si fosse fatto recentemente nemici talmente feroci da ucciderlo e bruciarne completamente il cadavere. Una metodo che porta alla malavita dell’Est europeo e che ricorda il caso dell’omicidio di Petri Keci, ucciso da tre connazionali ad Acquaviva Picena il 19 gennaio 2008 e poi parzialmente bruciato. Le indagini all’epoca fecero emergere che quell’omicidio sarebbe maturato nella guerra per la gestione del mercato della prostituzione lungo la strada della Bonifica del Tronto a cavallo fra le province di Ascoli e Teramo. Era una punizione per lui e un “esempio” da dare ad altri soggetti interessati a subentrare nel traffico di donne dell’est. Tra le altre analogie la zona della Valtesino dove i due fatti sono avvenuti e la ferocia che li accumuna.