Parla di corto circuito nel percorso di valutazione del rischio di violenza domestica l’avvocato Francesca Di Muzio, presidente di Donn’.é, il Centro antiviolenza di Ortona che coordina l’intera rete territoriale.
Dopo la scoperta del duplice femminicidio compiuto dal marito di Letizia Primiterra, si è saputo che la donna aveva paura del marito e aveva già chiesto aiuto.
“C’erano già stati dei segnali gravi – ha detto l’avvocato Di Muzio -. La signora si era rivolta ad un servizio sul territorio e ai Carabinieri per segnalare di essere vittima di maltrattamenti. Chiaramente esistono passaggi specifici da seguire, noi non sappiamo come siano andate le cose né se sia stato fatto, per esempio, il Sara, ossia il test di valutazione del rischio da violenza domestica, che permette di capire in quale fase del percorso della violenza si trovi la donna e le conseguenti contromisure da adottare, fino all’allontanamento in località protetta. Dobbiamo capire dove non è stata compresa. Anche se Letizia si era rivolta ad un altro centro e non a Donn’.é, tutta la rete di associazioni è chiamata ad interrogarsi su cosa non abbia funzionato, specialmente a livello di valutazione del rischio. Dobbiamo ripensare il modo di lavorare e soprattutto di formare i nostri operatori, ma spesso in questo siamo lasciati soli e senza finanziamenti adeguati. Gli strumenti per prevenire ci sono, eppure nel caso del doppio femminicidio di Ortona c’è stato un corto circuito che abbiamo il dovere di analizzare e chiarire, tutti. L’epilogo è tragico, ma dobbiamo capire se si poteva prevedere o arginare. Dopo Pasqua apriremo un tavolo con tutti gli attori istituzionali, inoltre quando verrà avviata la fase processuale siamo pronte, come rete antiviolenza di Ortona, a costituirci parte civile”.