È stato presentato oggi a Pescara, nella sede di Legambiente al binario 1 della stazione ferroviaria, il dossier con focus sull’Abruzzo “Le opere per l’Italia Green”.
Il dossier dedicato agli interventi sostenibili punta a ribaltare quella che è stata definita “assoluta mancanza di strategia” nella bozza delle 74 schede-progetto della Regione Abruzzo, da finanziare con oltre 9 milioni di euro.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di Legambiente si pone anche come un insieme di proposte da esaminare assieme al Governo, sia regionale che nazionale.
«Da mesi chiediamo un Piano Nazionale Ripresa e Resilienza ‘partecipato’ per evitare un PNRR ‘delle partecipate’. Leggendo la seconda bozza del Piano, datata 29 dicembre, siamo stati ampiamente smentiti. In Abruzzo siamo ancora alle prese con l’intervento della Snam, anziché imprimere un nuovo impulso alle strategie da adottare per disegnare un futuro diverso è più sostenibile”. Nei progetti lanciati dalla regione Abruzzo c’è troppa mobilità su gomma e poca intermodalità, ci sono impianti di risalita dove il cambiamento climatico imporrebbe scelte totalmente diverse, e a livello portuale si pensa più alla manutenzione che ad una progettazione responsabile. È come se si volessero utilizzare i fondi del Recovery Plan per chiudere una manciata di opere avulse da una visione d’insieme sul futuro.»
Nel suo piano nazionale di ripresa e resilienza per il Paese Legambiente presenta 23 priorità di intervento, 63 progetti territoriali da finanziare e 5 riforme trasversali necessarie per accelerare la transizione ecologica e rendere la penisola più moderna e sostenibile.
Tra i progetti sì a sviluppo di fotovoltaico, eolico, biometano e idrogeno verde, alta velocità nel centro sud e potenziamento delle reti ferroviarie regionali, elettrificazione della mobilità urbana e dei porti, decarbonizzazione delle acciaierie, bonifiche dei siti inquinati, banda ultralarga, ciclovie e turismo di prossimità. No all’idrogeno da fonti fossili, all’impianto di cattura e stoccaggio CO2 a Ravenna, al Ponte sullo stretto di Messina.
Di seguito il comunicato di Legambiente.
Un’Italia più verde, più vivibile, innovativa e inclusiva. Così potrà diventare la Penisola da qui al 2030 se saprà utilizzare al meglio le opportunità e le risorse che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia con il Next Generation EU (NGEU). Di ciò ne è convinta Legambiente che, nel giorno in cui viene audita in Parlamento in Commissione Ambiente della Camera dei deputati, per dare una “scossa” alla recente discussione poco centrata sui contenuti presenta il suo Recovery Plan, frutto di un lungo dialogo durato 5 mesi con istituzioni, imprese, associazioni, sindacati, e di una scrittura collettiva e condivisa. Il documento in questione ci proietta verso l’Italia del 2030 e indica, per le 6 missioni indicate dall’Europa, 23 priorità di intervento, 63 progetti territoriali da realizzare – tra rinnovabili, mobilità sostenibile, economia circolare, adattamento climatico e riduzione del rischio idrogeologico, ciclo delle acque, bonifiche dei siti inquinati, innovazione produttiva, rigenerazione urbana, superamento del digital divide, infrastrutture verdi, turismo, natura e cultura – insieme a 5 riforme trasversali necessarie per accelerare la transizione ecologica del Paese per renderlo più moderno e sostenibile, dando il via ad una nuova stagione della partecipazione e della condivisione territoriale. Il faro che ha guidato Legambiente nella redazione del suo Recovery Plan è la lotta alla crisi climatica che riguarda trasversalmente le 23 priorità nazionali di intervento. Nel documento, inoltre, l’associazione ambientalista descrive, regione per regione, quelle che a suo avviso sono le opere da realizzare e quelle da evitare, indicando in maniera chiara come spendere i quasi 69 miliardi di euro destinati per la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e i 32 miliardi destinati alle “Infrastrutture per la mobilità sostenibile”.
Tra i progetti da finanziare, Legambiente indica, ad esempio, oltre all’Alta Velocità nel centro Sud e le reti ferroviarie mancanti, l’elettrificazione dei porti, gli interventi per ridurre gli impatti ambientali nelle acciaierie (l’ex Ilva di Taranto e l’impianto di Cogne ad Aosta), la riconversione del distretto dell’Oil&Gas di Ravenna (puntando sulla nuova filiera dell’eolico e del fotovoltaico offshore e della dismissione delle piattaforme non più operative), la riconversione delle centrali a carbone ancora attive e i progetti sull’agroecologia. Senza dimenticare, a partire dall’Abruzzo, la realizzazione di digestori anaerobici per il trattamento della frazione organica differenziata, con produzione di biometano e compost di qualità, in ogni provincia, e quelli per trattare gli scarti agricoli, i reflui zootecnici e i fanghi di depurazione. E poi le delocalizzazioni degli edifici a rischio idrogeologico (vedi la recente battaglia su Megalo’), la digitalizzazione nelle aree interne e una nuova fruibilità turistica delle aree montane con una nuova politica di APE, dove andrebbero finanziate le connessioni ciclopedonali tra Appennino e costa adriatica; la riqualificazione dell’edilizia popolare (messa in sicurezza ed efficientamento energetico) e degli istituti scolastici, la rigenerazione socio-economica delle quattro regioni del centro Italia colpite dal sisma. Tra i progetti da evitare e che l’associazione ambientalista boccia c’è, ad esempio, l’impianto di cattura e stoccaggio di CO2 proposto da Eni a Ravenna, il ponte sullo stretto di Messina, quelli legati alla produzione di idrogeno da fonti fossili, i nuovi invasi, gli impianti TMB di trattamento meccanico biologico dei rifiuti, gli impianti di innevamento artificiale e di risalita al di sotto dei 1.800 m.s.l.m., gli incentivi legati all’acquisto dei veicoli a combustione interna.
«Negli ultimi mesi il percorso di definizione del PNRR da parte del governo italiano è stato a dir poco confuso e, soprattutto, per nulla partecipato», ha spiegato Giuseppe Di Marco, presidente Legambiente Abruzzo. «Per dirla con una battuta auspicavamo un “PNRR partecipato” e ci siamo trovati un “PNRR delle partecipate”, come poi è emerso dalle bozze circolanti con i progetti proposti da Eni. Il nostro auspicio è che, una volta superata la crisi governativa in corso, l’Esecutivo abbia il coraggio di cambiare registro e passo pensando ad un Recovery Plan diverso, modificandolo e mettendo al centro la crisi climatica, anche prendendo spunto dal nostro documento. Questi interventi devono essere accompagnati da un profondo pacchetto di riforme per accelerare la transizione ecologica: servono più semplificazioni, controlli pubblici migliori, un’organizzazione burocratica aggiornata professionalmente e all’altezza della sfida, una maggiore partecipazione con una nuova legge sul dibattito pubblico che riguardi tutte le opere per la transizione verde, per coinvolgere i territori e ridurre le contestazioni locali. Anche la regione Abruzzo deve fare la sua parte e definire meglio le strategie di intervento, con un forte richiamo agli impegni che si assumono per le prossime generazioni.»
Riforme necessarie – La storia dell’Italia ricorda che non bastano i finanziamenti europei per realizzare le opere pubbliche necessarie, ma servono anche delle riforme in parallelo. È necessario organizzarsi velocemente e in modo diverso, per garantire qualità dei progetti, velocità della spesa e certezza del rispetto delle regole. Per questo l’associazione ambientalista indica nella sua proposta di PNRR le numerose riforme necessarie per ciascuna delle 23 priorità di intervento individuate, a cui se ne affiancano altre 5 trasversali, da mettere in campo per accelerare la transizione ecologica: 1) Velocizzare l’iter autorizzativo con le semplificazioni all’iter di approvazione dei progetti, 2) Combattere la concorrenza sleale con il miglioramento qualitativo dei controlli ambientali attraverso il potenziamento del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente, 3) Istituire una governance efficace con una Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sul modello di quanto già fatto, con risultati incoraggianti, sul rischio idrogeologico e sull’edilizia scolastica; 4) Aumentare le competenze della pubblica amministrazione con un vasto programma di formazione e aggiornamento professionale; 5) Ridurre i conflitti territoriali con una nuova legge sul dibattito pubblico per la condivisione e la partecipazione di cittadini e istituzioni locali che potenzi quanto già previsto da Codice degli appalti e Valutazione di impatto ambientale.
Critiche al PNRR predisposto dal Governo – Per Legambiente gli anni fino al 2030 saranno cruciali per fronteggiare l’emergenza climatica: per questo non deve essere sprecata la grande opportunità del PNRR per diventare un paese moderno, per liberarsi da zavorre, emergenze ambientali croniche, progetti e inadempienze che provocano procedure d’infrazione da parte dell’Europa, e soprattutto per superare lo shock causato dalla pandemia. Ad oggi purtroppo il PNRR predisposto dal Governo, non ha ancora imboccato con determinazione questa strada. Per l’associazione ambientalista si tratta di un piano privo di una bussola, dove la grande assente tra le priorità trasversali è proprio la crisi climatica (che andrebbe affiancata a parità di genere, sud e giovani) e dove manca la messa a punto di obiettivi, strumenti e interventi dettagliati, coerenti e integrati tra loro, tale da delineare la visione del Green Deal Italiano e le tappe della transizione per tradurlo in realtà. Solo per fare un esempio nel PNRR proposto dal Governo alle opere ferroviarie per la connessione veloce vanno quasi 27 miliardi di euro (la fa da padrona l’Alta velocità e la velocizzazione della rete con poco meno di 15 miliardi di euro) e 18,5 all’efficientamento termico e sismico dell’edilizia residenziale privata e pubblica. Sono di gran lunga più contenute le risorse destinate a produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili (9); al trasporto locale e alle ciclovie (7,5) a cui andrebbero destinate più risorse, all’economia circolare (4,5 miliardi di euro), che pure vede l’Italia come paese leader in Europa, il rischio idrogeologico (3,6), che interessa il 91,1% dei Comuni, l’agricoltura (2,5), motore indispensabile del “made in Italy” agroalimentare.
La proposta della regione Abruzzo. Si riassume in una “Banca progetti” di 74 schede per un valore complessivo di 9.285.766.089 euro e suddivisa nei seguenti cluster di investimento:
Rivoluzione verde e transizione ecologica 5.341.665.000 euro 57%
Competitività 386.000.000 euro 4%
Digitalizzazione e innovazione 422.000.000 euro 5%
Infrastrutture per la mobilità più sicure ed efficienti 3.096.101.089 euro 33%
Istruzione e formazione 40.000.000 euro 1%
Un insieme di azioni che, seppur abbracciano alcuni principi ispiratori del PNRR su delle direttrici comuni, non esprimono in maniera netta le strategie di intervento raccomandate dell’Europa: contribuire alla transizione ambientale, alla resilienza e sostenibilità sociale, alla transizione digitale, all’innovazione e competitività.
«A nostro avviso», ha dichiarato Enrico Stagnini, direttore Legambiente Abruzzo, «per la modernizzazione dell’Abruzzo dentro una strategia di transizione ecologica e inclusione sociale e territoriale, vanno stabilite delle priorità di intervento su scala di macro progetti con azioni sinergiche, oltre la mera sommatoria di interventi, che prevedano obiettivi forti nella messa in sicurezza del territorio, dalle bonifiche (vedi i ritardi di Bussi) alla messa in sicurezza dell’acquifero del Gran Sasso; una nuova strategia per l’Appennino parco d’Europa, con la creazione di un sistema di interventi strategici di tutela, turismo sostenibile e connessione dalla costa all’interno dei paesaggi, delle aree protette e delle reti culturali, come i Tratturi; nuovi modelli di gestione territoriale che tengano al centro il processo di digitalizzazione, lotta alle disuguaglianze e parità di genere, smart village e green community; la sfida sugli ecosistemi urbani e sulla mobilità sostenibile con il bisogno di un Piano regionale sulla mobilità sostenibile e un rafforzamento forte dell’intermodalità treno-bici-bus (es. Costa dei Trabocchi Mob e Mo.ve.te.) e del TPL regionale; un pacchetto sull’Economia circolare che vada oltre la recente legge regionale e punti a supportare una nuova impiantistica regionale sul riciclo dei rifiuti, recupero delle materie prime seconde e creazione di biodigestori aneoribici, accompagnato da azioni a sostegno della transizione dei consorzi verso questi nuovi modelli green di gestione e con la formazione di nuove professionalità e green job. In questo momento, siamo tutti chiamati ad un sforzo comune e l’auspicio è che si approfitti del tempo ancora a disposizione per migliorare il tutto, attraverso il coinvolgimento dei diversi attori territoriali. Non sempre è facile, come non lo è scrollarsi di dosso vecchi progetti inutili e costosi che spesso sono pura espressione di fisse localistiche.»
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