In Abruzzo sono 11 le vertenze occupazionali ancora da risolvere che mettono a rischio tremila lavoratori. Grandi vertenze per le quali sono stati aperti tavoli di trattativa con il Ministero dello Sviluppo Economico.
Trascorso il periodo di vacanze molte le aziende abruzzesi che riprendono la produzione a pieno ritmo. Numerose però sono le vertenze occupazionali ancora da risolvere. Con la crisi di Governo c’è grande preoccupazione per la loro definizione. Ad aumentare il senso di disagio le numerose vertenze che riguardano le piccole e micro imprese del territorio. Con la riapertura delle fabbriche, dopo il periodo estivo, abbiamo fatto il punto della situazione con Andrea De Lutiis della Fiom Cgil di Chieti Pescara. Le 11 grandi vertenze aperte riguardano, lo ricordiamo, La Honeywell di Atessa divenuta nel frattempo Baomarc, la Pilkingtone di San Salvo, il Mercatone Uno di Pineto, San Giovanni Teatino e Colonnella, la Ball di San Martino sulla Marrucina, la Blutec di Atessa, la LFoundry di Avezzano, la Brioni di Penne, la Selta di Tortoreto, la ATR di Colonnella e la INTECS dell’ Aquila. Per molti dei lavoratori coinvolti si è pensato ad un apposito decreto per la loro internalizzazione, ovvero il passaggio nella pubblica amministrazione. Ma con la caduta del Governo questa soluzione al momento appare impraticabile. I numeri a livello Nazionale sono davvero preoccupanti. Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore analizzando le difficoltà nella gestione e nella reindustrializzazione delle singole vertenze, si comprende quanto critico sia diventato l’argomento “tavoli di crisi” al ministero dello Sviluppo economico. I 138 tavoli di gennaio sono diventati 158 con il coinvolgimento di poco meno di 210 mila lavoratori. Cifre che però non possono essere considerate ufficiali perché perfino il bilancio è diventato un piccolo rebus. Al ministero – dicono i sindacati – non c’è un elenco aggiornato e la ricostruzione sta impiegando più tempo di quanto si potesse pensare. L’ingresso continuo di nuove vertenze e la difficoltà di definire del tutto chiuse quelle aperte da anni complicano la ricognizione. Sulla base dei vari verbali relativi ai tavoli coordinati, la stima del Sole 24 Ore è di circa 49 mila lavoratori coinvolti al Nord, 44 mila al Sud, 37 mila al Centro. Altri 78 mila lavoratori invece sono coinvolti in tavoli che hanno ricadute su regioni in diverse macroaree del paese. Circa il 35% dei quasi 210 mila lavoratori è impiegato in imprese a maggior rischio di chiusura, quindi dalla ricollocazione più complessa. Un tavolo su cinque, all’incirca, riguarda aziende che in parte o totalmente sono state interessate da cessazione di attività in Italia per delocalizzazione all’estero.
La mappa dei settori vede un picco nel commercio, con 36 mila addetti compresi quelli toccati dalle più recenti vertenze Auchan e Mercatone Uno. Più di 20 mila gli addetti che lavorano nell’industria siderurgica, 19 mila nel settore degli elettrodomestici, quasi 17 mila nei call center, 14 mila nell’ information technology, oltre 9 mila nelle telecomunicazioni, quasi 7 mila nell’edilizia, intorno ai 5 mila nell’ automotive.